Mandalay è già diversa da Yangoon non tanto per il clima quanto perché urbanizzata in maniera totalmente differente.
Qui ci sono i classici motorini asiatici ma il traffico non è ossessivo e tutto sommato visto la viabilità molto geometrica si potrebbe anche andare in bici: le distanze però non sono così banali ed il è caldo piuttosto pressante per cui è comunque meglio contrattare un taxi od un magico tuk tuk per l’equivalente di pochissimi euro.
Pahtodawgyi
Davanti alle nostre finestre c’è lo scheletro di un palazzo in costruzione ed un anziano che di primo mattino legge sempre il giornale seduto su una sedia, al secondo piano dello scheletro, come se nulla fosse, come se fosse in camera sua; peccato manchino porte, finestre, pavimenti e muri. Ma lui se ne frega e legge imperterrito. L’ho notato appena arrivato, l’ho visto oggi. E’ il guardiano, ma di cosa, del materiale che sta li da tempo abbandonato visto che il palazzo non è attivamente in costruzione? Ad una certa ora veste una camicia beige, prima è seminudo.
Dalla reception del nostro albergo prenotiamo una trasferimento notturno in bus, verso Mandalay. 10 ore di viaggio con il famoso JJ express bus il cui altisonante slogan è the way, the truth, the life.
La stazione dei bus è a circa 20km dal nostro hotel e con un taxi si raggiunge in circa 45’. È lì che Yangon si mostra nel suo insieme, via via, nelle sue diversità e parti del tutto differenti dalla downtown. Zone più ricche e residenziali, occidentalizzate da centri commerciali, urbanizzazione moderna: quel che manca all’altro capo della città. Una metropoli non ossessiva e tutto sommato calma, km quadrati di abitati e quartieri, etnie mescolate fra loro: Asia, fra religione e contrasti.
Grande come parecchie delle metropoli del sud est asiatico contiene in se 3 città molto differenti fa loro.
La downtown, quello che è riconosciuto come centro, almeno antico, si è sviluppata a partite dal fiume, verso le rive più asciutte, verso l’interno.
La middle town di fatto gradualmente occidentalizzata a partire dal centro e fino ad arrivare al lago Kan Daw Gyi dove le strade si allargano, dove c’è spazio per un giardino zoologico, un parco e 3 fra i monumenti di maggiore interesse: Shwedagon Pagoda, Buddha sdraiato (Chaukhtatgyi Paya) e Buddha seduto (Ngahtatgyi Paya), distanti fra e centinaia di metri.
Infine la upper town la cui zona nevralgica pare essere quella delle costruzioni sorte lungo le ricche rive del lago Inya dove appunto si trovano golf club, grattacieli e disgregati centri commerciali misti ad unità abitative medio grandi.
Così dopo un sonno riparatore dell’ultimo periodo di lavoro e della cena siciliana di ieri sera che mi fa sentire felice, grasso ed in colpa, ci siamo svegliati poco prima della sveglia, ma senza il fastidio che poi ne nasce quando succede e ti tocca andare a lavoro.
Il solito zelo dei parcheggiatori mi sveglia subito dopo aver ripreso sonno, ascoltando il rumore dell’acqua della doccia. “Per le 6.40 sarò lì, ok”
Va tutto liscio: Roma è così svuotata che pare un campo da basket dopo una sconfitta. Stavolta lo zaino pesa perfino meno perché invecchiando porto meno cose anche se sono certo di aver dimenticato qualcosa e di aver potato qualcos’altro di inutile che mi riprometterò di non portare la prossima volta: la maglia blu, maniche lunghe, dell’Honda non so nemmeno più se mi va bene e l’ultima volta l’ho indossata è stato in Australia 2 anni fa, più per stizza verso me stesso che per bisogno; era davanti l’Uluru. Penso di averla indossata in tutto 4 volte ma di averla portata in ogni viaggio.
Lasciamo il bagaglio al drop off e lì la scoperta: non so se per qualche prova che ho fatto quando l’app della compagnia aera funzionava male o chissà che altro, fatto sta che io adesso quando viaggio ho sempre un pasto hindu. Di suo la scelta non è preoccupante né malaccio ma insomma non è voluta e considerata la cucina indiana, soprattuto a colazione, il fatto può essere pericoloso a livello digestivo.
L’inconstistenza dei marshmallow, l’energia elettrostatica accumulata sugli scivoli, i capelli elettrizzati da quella e da una coppetta gelato da farsi cadere per un terzo sulla maglia pulita. È il nostro sabato pomeriggio. E mi piace.
Uno dei più ampi studi mai svolti: quasi 400.000 persone seguite per 20 anni. Chi assume quotidianamente multivitamine non ha un rischio ridotto di morte per qualsiasi causa. Segnalato un rischio di mortalità più ⬆️ del 4% tra chi usa integratori nei primi anni di follow-up. 1/2