Esami: io alleno.

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Ho visto e sentito molti parlare di stress da esami. Di impegni importanti di lavoro quali certificazioni, consegne di lavoro.

Lo capisco, lo ho vissuto, ognuno di noi lo vive correntemente, non quotidianamente, certo.

Ci sono giornate, settimane di lavoro, più tranquille di altre, semplicemente perché il tempo che ci separa dalla consegna, dall’appuntamento, dalla certificazione, dal singolo esame all’università  è più o meno lungo. Ognuno ammortizza, somatizza, soffre, combatte, produce e vive uno stato d’animo differente, un tempo di avvicinamento all’evento, con metodo e maniera differente.

Tutti siamo per accomunati dal sentimento, duna vera e propria condizione di stress psicofisico per l’evento: chi più e chi meno ma tutti se abbiamo una consegna, un esame, una verifica in senso generale tendiamo a pensarci su, tendiamo a cercare anche ossessivamente di prepararci visto che inevitabilmente il risultato sarà vissuto come un ritorno su se stessi e sul prodotto lavorativo offerto: siamo si, sotto esame dal punto di vista quindi fisico, mentale, personale, lavorativo.

Il risultato, già. 

Da qualche anno rifuggo, per scelta etica ma anche per questioni di stanchezza fisica, le certificazioni professionali che sono rese difficili ad arte. Che senso ha conformarsi ad uno standard distante dalla realtà lavorativa stessa, solo perché fa curriculum aver raggiunto tot domande corrette e quindi quella certificazione? Perché imparare a memoria definizioni e metodi inapplicabili? Perché andare sotto stress per settimane, pagando, studiando, per ottenere un esame nei fatti stupido, non in grado di misurare la conoscenza, se non la sola memoria?
In ogni caso è un esame, qualcosa a cui, avvicinandoci, giungeremo con stress e qualcosa che ci darà un ritorno su come siamo, quanto sappiamo, che la cultura infine richiesta sia didascalica oppure meno.

Alcuni pensano, narrano, lo si faccia per abituare allo stress: ma non in tutte le professioni la conduzione di stress è la normalità, per cui che senso ha? Tutti i medici lavorano in pronto soccorso oppure la maggior parte di essi può riflettere pensando, analizzando esami, leggendo anche manuali? Direi la seconda.

Che logica ha un esame dove non hai formule da poter rivedere? Nei laboratori devi andare forse a memoria?
Sono sempre stato convinto che nella maggioranza dei casi lo stress potrebbe non esserci e non ne faccio una questione di banale idea di benessere ma una questione di natura lavorativa, specifica di quell’incarico: nella maggior parte di professioni non esiste lo stress se non indotto da disorganizzazione. Lo dico proprio sulla base della natura intrinseca della situazione: non confondete lo stress con l’impegno fisico che in alcuni casi si rileva, con lo sforzo: reputo importante, pericoloso, provante sotto il profilo fisico ed emotivo il lavoro del vigile del fuoco ma lo reputerei stressante, in stretto senso, solo se fosse chiamato a gestire molte emergenze al giorno. Per il resto, volutamente semplificando, è un vigile del fuoco, non può ritenere stressante spegnere incendi

Io non temo il giudizio, e vengo al dunque: io mi rifiuto di confrontarmi in un contesto non realmente meritocratico, con logiche astruse, difficoltà irreali, ostacoli messi ad arte, per misurare, secondo me, quanto tempo si ha da perdere a memorizzare qualcosa che invece posso trovare tranquillamente su un manuale. I concetti, la conoscenza, non le formule, non le date: la storia per esempio non è fatta di mesi ed anni da ricordare ma di fatti concetti, ragioni.

Oh si, ho un esame; io una certificazione; la prossima settimana devo fare una presentazione.

Io alleno, sono un allenatore di pallacanestro ed ho un esame a settimana e li h perché ho passato “certificazioni” della federazione, come quelle che sopra ho detto non sposare nei metodi di insegnamento e verifica.

Io alleno ed ogni settimana qualcuno, me per primo, mi giudica, mi osserva e qualcuno altro combatte perché io fallisca: i miei avversari.

Io alleno, ogni lunedì ho un umore dipendente dalla partita della domenica, dal ritorno che ho su di me, del mio lavoro che costantemente devo migliorare. Non è il peggiore lavoro del mondo ma ci sono settimane in cui, per fortuna della comunità un poliziotto non ha emergenze, un vigile del fuoco non ha incendi.
Io invece alleno; ho una partita a settimana: no non è il peggiore lavoro del mondo ma è stressante per la costanza, per la ricerca che lo sport include nel migliorarsi e trovare modo di far migliorare, per la costanza degli esami ai quali ti sottopone.

Ci sono liti, in famiglia, per periodi di stress a lavoro: ehi, io alleno, ho un esame, una consegna, una verifica ogni settimana.

Questo lunedì sono stato di merda.  Domenica sono rientrato tardi, abbiamo perso e non so perché la sensazione è sempre la stessa: se vinciamo hanno vinto i giocatori, se perdiamo abbiamo perso tutti nella migliore ipotesi, perché nella peggiore, invece, beh, l’allenatore avrebbe potuto dire e fare…

Non ho dormito granché e non ho mangiato fino al mattino, correndo a prendere un treno per tornare a casa e fingere un po con me stesso e le mie figlie che fossi meno triste o preoccupato, schiacciato anche dall’altro lavoro. Mi sono sentito solo, ed avevo freddo, avevo i cazzi miei e mi risuonava in testa la frase di quel libro: l’allenatore è la persona più sola al mondo.

Del resto era solo una sconfitta no?
Ma perché, voi vivreste bene una certificazione fallita, una consegna fallita con il cliente ?
Voi avete clienti da soddisfare non clienti che mirano a farti fallire nel tuo lavoro: si, l’allenatore avversario mira a vincere e facendolo farà fallire voi.

Il modello comportamentale, relazione e quindi della prestazione che si impone chi allena è del tutto fuori dalla logica di qualsiasi altra situazione lavorativa.

Potremmo dire banalizzando che “è tutto relativo” o raccontarci che “è solo sport” o che “non prenderla così”.

Io alleno, e pure in basse categorie, anche un po per scelta in opposizione, vedi sopra, al sistema formativo ed alle tutele del tutto inesistenti a livello economico.

E’ stressante ma io alleno perché sono un drogato di gente, del rumore del campo, della pizza fredda mangiata mentre il locale sta chiudendo, dei km in giro per tutta la regione, delle corse in treno, dei panini mangiati in piedi mentre ti cambi per andare agli allenamenti, del piano allenamenti scritto fra le briciole, del freddo in scooter per raggiungere il campo, dello stradario mentale memorizzato con il riferimento dei campi da gioco sparsi per la città; sono dipendente dalle lagne dei giocatori, dalla piccola intervista telefonica della domenica sera, io sono una tuta sporca e delle scarpe consumate, appunti scritti di fretta, telefonate ai miei giocatori, messaggi per i loro compleanni ed auguri per i loro impegni.

Io alleno, ho un esame a settimana e certi lunedì sono peggio della domenica sera.

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