Salinger, la densità e l’inconsistenza del tempo

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Così come ad un certo punto, non so bene quando, ho smesso di amare e cercare non so bene come di imitare Salinger, non so bene come e quando sia passato il tempo.

Si dilata, si restringe, assurge ad infinito. Nei 40’ di una partita di pallacanestro, nel singolo minuto di un timeout, nei 24” secondi di una azione, in un secondo di riflessione scatenata da una immagine, da uno sguardo, in 15’ che precedono la riunione di lavoro, avviati dall’avviso del calendario elettronico: quanto è contenuto in quel tempo, di cosa è fatto, quanto potrò portarmene via, condensare, ricordare?

Non so bene quando ma le mie figlie sono già cresciute: ho scoperto quanto infinito c’è nelle frazioni più minute di tempo, di giorno.
Le loro espressioni più consapevoli, la loro mimica facciale evoluta ora mi dimostra ancor più il loro carattere delineato, non ancora maturato nel senso oscuro e brutto del termine, a causa dell’esperienza del vissuto.
Ora sono loro, ancora pure, non traviate da un indirizzo educativo e sociale, non ancora mascherate dietro convenzioni e convinzioni indotte fosse anche dallo studio od  appunto dall’esperienza. Mi appassiona guardarle essere così come sono, rimanere nel dubbio di procedere ad educare avendo chiaro che di fatto coinciderebbe con inoculare il veleno della mia singola esperienza e non della giustezza, della verità che di fatto nessuno conosce. Mi rifugio nei libri dei saggi, nelle notizie oltre confine, nella buone pratiche per il clima ed il benessere sociale portate avanti dalle democrazie del nord Europa.
La notizia di una morte, quella di una violenza fosse anche dal giorale del mattino su web, di una terapia d’urto per un male gravissimo che ha colpito un familiare o quello di un semplice collega mi spaventa per l’inevitabile proiezione che torno a fare su di me come tanti anni fa facevo. Proiettare è stato sempre un po morire per me, che si trattasse di salute od affetti in senso più generalizzato.

Ho ancora un “fusto” di giocattoli di quando ero bambino, so dove sono e gelosamente ci penso come al tempo gelosamente ci giocavo poco per preservarli da non so ancora cosa. Ho deciso che li mostrerò alle mie figlie ma vorrei fossero nell’età della comprensione di quanto tutto quello significasse all’epoca per me, non oggi. O forse ho capito che vorrei solo non li rovinassero, che ci giocassero però, dando come una continuità a quelle mie emozioni, emotività di quel tempo, quella mia brava di volerli ma allo stesso tempo non volerci giocare per non rovinarli.

Ho visto in video di un bambino che salta in una pozzanghera, ho ripensato al giubbotto rovinato dalle stelle scintillanti con le quali ho stupito le bambine nell’ultima giornata dell’anno ed ho avuto la certezza che non mi sono dispiaciuto per il fatto in sé come avrei fatto in passato e come avrei fatto io da bambino, per la perdita, il costo e tutto quello che di emotivo poi ci avrebbe girato attorno.
Quel bambino sporco di fango e felice per gli spruzzi sollevati dai suoi stivaletti mi ha insegnato in pochi secondi di video che questo è il loro tempo di essere sporche e sdrucite, che i bambini sono la missione più importante per il futuro, che non importa dove e quanto, che il tempo però assume valore solo se è totalmente per loro, senza telefono a portata di mano, senza pensieri nella testa e silenzi inaspettati ed inevitabili dai quali mi fanno a volte uscire guardandomi fisso, da vicino, senza che mi sia reso conto di aver taciuto per un po’, sorprendendole.

Questo è il loro tempo e può essere il mio nel significato assoluto di tempo: può essere mio proprio apprezzando la sua densità che può essere maggiore in una durata considerata breve da una mente distratta e distrutta, abituata ad impegni e sovrastrutture richiedono ore o giorni scarsamente densi oppure stupidamente densi.

Non so ancora bene quando ho smesso di apprezzare Salinger ma so che il tempo ha ora per me  sua densità maggiore sebbene abbinata ad una crudele lunghezza che sento ridotta.
Beatrice e Matilde sono cresciute. Io mi sento più grande.

Da lettere a Lucilio:

Dice Ecatone: “Ti indicherò un filtro amoroso, senza pozioni, senza erbe, senza formule magiche: se vuoi essere amato, ama.” Non solo dalle amicizie sicure e di vecchia data si ricava grande piacere, ma anche dal cominciarne e dal procurarsene di nuove. Tra chi ha un amico e chi lo cerca c’è differenza, come tra il contadino che miete e quello che semina. Il filosofo Attalo era solito dire che farsi un amico dà più gioia che averlo, “come al pittore procura più gioia l’atto di dipingere che l’opera finita.” L’attendere con zelo a un lavoro dà di per sé un grande piacere: non ne prova, invece, uno uguale chi, finita un’opera, toglie mano. Gode ormai del frutto della sua arte: dipingendo, invece, godeva dell’arte stessa. I figli adolescenti danno più frutti, ma da piccoli ci danno una felicità più dolce.

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