Giu 27
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Cave,
Grotta, caverna.
Nomen omen avrebbe scritto qualcuno.
I suoni delle sue canzoni, delle sue opere, sono infatti cavernosi, a tratti gutturali, cupi, troppo semplicemente tristi secondo molti.
Così Nick Cave rimane confinato in un alone di semi notorietà almeno qui in Italia: australiano, classe 1957, famoso ed apprezzato altrove, considerato appunto troppo cupo per la nostra cultura musicale a tratti troppo impegnata con scolastiche rime baciate.
Discografia complessa ed evoluta, ancora in corso, grazie a Dio, composta di album piuttosto diversi fra loro per genere e concetti, per testi e citazioni.
Un uomo meravigliosamente ossessionato dall’amore e dalle sue sofferenze così come dai suoi salvifici effetti, un uomo non timorato ma assolutamente interessato a Dio, alle sue scritture, a cause ed effetti delle azioni di ognuno, agli interventi divini diretti ed indiretti capaci appunto di spostare quello che in apparenza sembrerebbe semplice destino.
Così vive, indaga, scrive, legge, cita, ama, ne soffre e grazie a Dio decide di consegnarci tutto questo in album notevoli, almeno 3 dei quali a mio parere più mirabili degli altri e ricchi di correlazioni, facenti parte di un concetto più generale, di un album maggiore, un concept album maturato però nel suo complesso in un arco temporale significativo di 6 anni.
La porzione della discografia Cave di cui parlo è quella che va dal 1994 al 1998 ed abbraccia 3 album almeno 2 dei quali dovrebbero essere posseduti da ognuno di noi per la mia nota teoria dell’abitabilità di una casa: esistono album senza i quali una casa non è tale né considerabile vero rifugio.
Così rispettivamente Cave o più precisamente parlando Nick Cave and the bad seeds, ci consegnano prima Let the love In, poi Murder ballads ed in ultimo The Boatman’s call.
Cave ed i semi del male, nel nome della band tutto un programma direbbero alcuni, troppo depresso per altri: invece no, troppo geniale. I fiori del male, la raccolta di poesie Baudelaire dove morte, amore e religione vengono resi chiari tramite complicati processi che portano a pensare a peccato ed orrore. Ecco, forse è da li che tutto proviene.
Fatto sta che come da titolo Cave lascia che l’amore entri nella sua vita (Let the love in) e che poi faccia danni raccontati nelle ballate dell’omicidio narrate appunto in Murder ballads. Con una meravigliosa malinconia ci racconta infine l’elaborazione di quello che pare essere un lutto emotivo, sentimentale, ci racconta la consapevolezza e la maturità di qualcosa che finisce e fa male, di qualcos’altro che non si considera ancora chiuso visto che fa soffrire, di qualcosa di passato e meravigliosamente struggente ed accettato come tale. Sullo sfondo un Dio onnipotente onnipresente nelle parole e nei riferimenti, segno di un’ineluttabile destino che infine pare dominare ogni vita. In The Boatman’s call c’è a mio parere una sorta di redenzione e ricostruzione, la consapevolezza di voler e dover passare oltre pur senza voler dimenticare nulla proprio perché vissuto ed importante.
La trilogia pare essere una sorta di disordinata Trimurti indù: in India infatti Brahma, Visnu e Shiva rappresentano creazione, mantenimento e distruzione mentre qui, i 3 album, rappresentano invece nascita, distruzione e mantenimento inteso come quiete dopo la rabbia, come prologo di una nuova vita.
Diversi i suoni, diversi i testi. Let the love in è vivo ed alto, ricco e più rumoroso in senso buono, come ogni nascita ma incentrato su testi di delusione, preambolo del successivo Murder ballads che invece risulta accattivante e cupo, seducente come un odore cattivo che non si riesce a smettere di annusare, irrinunciabile ed attraente: una raccolta di canzoni che narrano appunto omicidi passionali facenti parte in alcuni casi di tradizioni popolari; ognuno dei protagonisti uccide violentemente per amore, per passione vera ed incontrollabile.
Memorabili i duetti con Pj Harvey in Henry Lee e con Kylie Minogue in Where wild roses grow.
Nella prima una donna uccide quello che voleva fosse il suo amante perché si rifiutava di dormire con lei. Il videoclip dei due cantanti su sfondo verde che semplicemente cantano carezzandosi e sfiorandosi dolcemente è qualcosa di imperdibile come la sensazione altalenante che il video stesso suscita: si baceranno oppure no?
I due, cadaverici, catturano attenzione, orecchie, occhi. Tutto da cogliere il particolare della manicure approssimativa di P.J. Harvey ma non fruibile a tutti: il fatto, evidentemente usuale nei modi e nei colori per lei, viene a mio parere chiaramente citato nel successivo album quando si parla di unghie rosa smozzicate in una canzone dedicata alla cantante ormai sua ex compagna (The Boatman’s call, West Country Girl).
Bellezze così grandi da doverle maledire, amori così intensi da dover uccidere, un senso di possesso, un bisogno più fisico del sesso, più carnale nel senso materiale: qualcosa che sfocia in violenza in Murder Ballads ed in “comprensione” e spiegazione in The Boatsman’s call.
A ben vedere, anche l’album successivo, No more shall we part (non ci separeremo più), pare essere una conseguenza dei precedenti visto che l’ossessione per un Dio che appare superbo e severo appare più chiara e che le tematiche di abbandono ed amore ricorrono ancora una volta.
The Boatman’s call è l’album più facilmente fruibile ma assolutamente complesso e completo dal punto di vista musicale ed artistico in senso lato. Testi come Into my arms sono meraviglia distillata, qualcosa a cui ambire.
Suoni morbidi ma cupi, rintocchi dei bassi, vibrazioni, violini a mediare e completare: una voce naturalmente calda, qualche notte per ascoltare, il fumo lento e caldo dei sigari per finire di scrivere questo pezzo.
Into my arms, invocando un Dio imprecisato, nel caso esistesse e fosse “interventista” di proteggere e spianare il cammino alla donna che Cave ama:
Non credo all’esistenza degli angeli
Ma quando ti guardo penso invece che siano veri
Se ci credessi li convocherei tutti insieme
E chiederei loro di proteggerti
E di accendere ognuno una candela per te
Per renderti la strada luminosa e chiara
E farti camminare, come Cristo, nella grazia e nell’amore
E guidarti fra le mie braccia.
Un condannato a morte e la sua “stupida preghiera” nei momenti che precedono la sua esecuzione in Idiot prayer,
L’idea che la gente non sia affatto buona in People ain’t no good:
Al nostro amore manda una dozzina di gigli bianchi
Al nostro amore manda una bara di legno
Al nostro amore lascia tubare i piccioni dagli occhi rosa
Che la gente non è affatto buona
Al nostro amore restituisci tutte le lettere
Al nostro amore un biglietto amoroso intriso di sangue
Al nostro amore lascia piangere gli amanti abbandonati
Che la gente non è per niente buona
Far from me:
Ti parlavo di ogni genere di cose
Tu rispondevi con un sorriso
Poi il sole abbandonava il tuo grazioso viso
E nei tuoi occhi restava solo uno sguardo assente
Mi dicono che stai facendo del tuo meglio
Spero che il tuo cuore batta felice nel tuo seno infantile
Sei così lontana da me
Lontana da me
Lontana da me
Brompton oratoy:
Vorrei anch’io esser fatto di pietra
Così non dovrei vedere
Una bellezza impossibile da definire
Una bellezza impossibile da credere
Una bellezza impossibile da sopportare
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