Pechino, di corsa!
Ago 29
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Pechino merita forse più giorni di Shanghai.
Rivedendo i programmi causa città proibita chiusa di lunedì, trasferimenti per la muraglia cinese sempre affollati e trani ed aerei verso le altre nostre tappe siamo strati costretti ad alzare il ritmo dei nostri giorni così che la media chilometri al giorno si sia attestata sui 10 e che alla sera le gambe risultino piuttosto pesanti.
Ringrazio Dio, Buddha, o chi altri per la temperatura del tutto accettabile ossia sui 30 gradi senza umidità, cosa che in Asia è un assoluto colpo di fortuna. Nessun segno del pesantissimo inquinamento che affligge la nazione nei maggiori centri: grazie a vento a e pioggia infatti il cielo è più limpido anche se il mondo non è più pulito visto che appunto il vento ha spinto più in là il tutto.
Fatto sta che spesso nelle case occorra installare un purificatore di aria per sopperire all’altissimo tasso inquinamento e che addirittura nei templi sia indicato di accendere incensi votivi nei giorni di inquinamento, segno che in quella occasioni la visibilità sia scarsa di suo…immaginate la vivibilità.
Di corsa quindi, negli hutong per le foto di giorno e poi un risciò dopo abilissima e serrata contrattazione gestuale a metà fra un incontro di kung-fu ed una lite nel traffico.
Per l’equivalente di qualche centesimo di euro eccoci davanti al tempio dei Lama avendo recuperato parte dello svantaggio del tempo speso per chattare per ottenere biglietti, prenotare hotel ecc.
Tutto molto bello ma la descrizione delle guida cozza con quanto stiamo vedendo. Semplice! Siamo dentro al tempio di Confucio e non in quello dei Lama. Il tipo del risciò ci ha fatto segno di camminare dritti per arrivare ed al primo tempio siamo entrati senza nemmeno leggere il biglietto di ingresso che in effetti riportava il nome del tempio di Confucio.
Un tempio in realtà comunque da visitare, molto storico, carico di fascino, più gradevole nel complesso esterno che negli interni praticamente inesistenti o quasi sempre sotto teca. Diciamo un tempio più per i fedeli appassionati di storia della religione ma comunque consigliato come visita.
Il Tempio Lama, poco più avanti suola stessa strada, molto decantato da un po’ tutti è in effetti uno dei “must see” della città anche se a mio parere fin troppo romanzato. Complesse e ridondanti strutture decorative abbelliscono uno spazio molto grande articolato in “pagode” e piccolo templi nei quali campeggiano molteplici statue del Buddha. Affreschi, arazzi, meravigliose opere in legno che sormontano i palazzetti dei vari padiglioni, ruote tibetane: in tutto 5 “padiglioni”n nel padiglione Wanfu riposa serena una statua del Buddha Maitreya, alta più di 18 metri ed entrata nel guinness dei primati per essere stata scolpita da un unico pezzo di legno di sandalo (nonostante il certificato esposto la cosa sa di forzatura). Una statua imponente che ricorda le migliori viste in Thailandia, vestita di giallo, incastonata come al solito in una costruzione nella quale pare essere cresciuta da quando era più piccola.
Tempio del cielo, che in realtà non è un tempio e che è descritto come trascurabile: nemmeno per sogno, assolutamente da vedere. Doppio biglietto, uno per il parco (nulla da rilevare) ed uno per il complesso, grandissimo, camminando nel quale si giunge alle varie strutture un tempo usare per pregare per un buon raccolto, per la volta celeste ed altre illusioni che la tecnologia, purtroppo o per fortuna, è riuscita a toglierci. Altari e complessi commemorativi, votivi, di festeggiamento per il solstizio: per la visita vanno stimate un paio d’ore abbondanti senza troppo stress e trascurando il parco.
Meritata cena negli hutong in un ristorante a metà fra una trattoria ed un bbq. Su una grossa piastra fumante sfrigolano carni saporite già solo dall’aspetto, verdure ed incomprensibili spezzature che credo essere interiora di pollo. Il fumo odoroso invade la piccola locanda, e sui muri ingrigiti paiono scomparire i piccoli quadri, distorcersi i pensili sbiaditi, attenuarsi il chiacchiericcio ed i rumori molesti dei cinesi che mangiano.
Una ragazza ci aiuta ad ordinare usando il traduttore sul suo telefono, scatto qualche foto già convinto di fallire nel tentativo di catturare quell’ atmosfera che sento dentro precisamente, che non so scrivere ma che saprei riconoscere fra centinaia. Quel senso di invasione benefica, di salvifico benessere che mi coglie quando il posto è fuori dal comune, trascurato oppure meno, così distante dai nostri usi e costumi, ritmi, da sembrarmi incredibilmente più giusto, più apprezzabile ed in maniera assurda così evidentemente migliore di tutti goi altri che frequento in genere.
Quelli sono i momenti nei quali mi prometto che un giorno tornerò.
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