Giu 19
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La Cina dell’immaginario collettivo è la grande muraglia cinese, è il devoto esercito di terracotta, è l’insieme imperscrutabile delle dinastie dai nomi che se pronunciati sembrano il suono di una molla sgangherata.
La Cina è il paese delle bici, di operai meravigliosamente dediti, dei regimi totalitari, dello spirito di abnegazione, di fabbriche e vecchie stirerie, di caldo e vecchie fumerie d’oppio. La Cina per quasi tutti noi italiani è dei film oppure al massimo quella dei negozi economici qui a Roma, in piazza Vittorio.
Ecco, la Cina di oggi, invece, quella reale, è del tutto diversa, o almeno così leggo. Megalopoli di uomini d’affari, sterminati km quadrati di abitazioni, quartieri alveari misti a quartieri ricchi ed auto lussuose, fabbriche strutturate e catene di montaggio, una Cina produttiva, potenza mondiale, una Cina che poco c’entra con i cinesi che ci hanno poi mandato qui, una Cina che mi racconta mia sorella. Ho letto che in Cina c’è il maggior numero di Ferrari che in tutto il resto del mondo.
Mi toccherà andare a vedere per verificare se poi la Cina è quella degli stereotipi oppure quella della quale leggo oggi sui giornali.
Una Cina sicuramente meno lontana adesso che abbiamo comprato il biglietto aereo, adesso che le serate saranno di letture e progetti, di lento avvicinamento ad un viaggio saporito, di prove con la macchina fotografica, di memorizzazione impostazioni che domattina non ricorderò già più.
Mia madre è più eccitata di me che in qualche modo non ho fatto ancora il callo a questi momenti che precedono i viaggi, ma che di certo ho accumulato polvere e km. Sentirla così determinata e felice di andare a capire come si è sistemata mia sorella mi fa ripensare alle prime nostre avventure su internet nel 2001 con stentate connessioni ed esperimenti con netmeeting ed un ritardo mostruoso nella conversazione.
Sembra, e forse lo è, una vita fa: invece sono appena 18 anni scarsi…
C’era ancora mio padre che curioso sbucava nell’inquadratura delle webcam mentre facevo prove con David, mentre scoprivo internet, i programmi, la rete, le installazioni, l’inglese per viaggiare, gli aeroporti, gli scali massacranti, la puzza dei piedi che senti solo nelle sale di attesa mentre aspetti si esaurisca il tempo dello scalo.
Oddio, ci risiamo: leggere, pianificare, scrivere. Adattatori da comprare, lacci, andare giù al box a riprendere lo zaino e tutto il resto, compreso me, ormai un po’ logoro.
Ho la barba più bianca, viaggio con più fame di allora anche se ho più esperienza, ma non sono vorace come allora quando per timore di non vedere abbastanza finivo per correre e godermi poco. Adesso invece so il gusto che mi piace sentire, so quando andare, quando rifiatare, quando sorriderci su accettando la fortuna, quando combattere con caldo e stanchezza, quando sedermi sotto un ombra che già so non tornerà tanto presto.
Ho percorso, solo in moto, più della distanza fra la terra e la luna eppure ogni viaggio ha in se il sale di una novità, il sapore di un’incertezza, stavolta l’odore di una cucina che so essere diversa da quella orientale che conosciamo qui, che abbiamo importato. In un mondo sempre più globalizzato vanno perdendosi tradizioni, distinzioni: l’Asia nasconde ancora segreti e meraviglie naturali del tutto differenti dai nostri paesaggi, dalla nostra cultura.
In quasi 20 anni non sono ancora riuscito a convincermi ad andare altrove se non per viaggi più brevi o per l’avventura in Australia, più di una degna alternativa.
Sogno i taccuini di Bruce Chatwin, mi ricordo la leggenda da lui stesso messa in circolazione secondo la quale si era ammalato a seguito del morso di un pipistrello cinese. Morì a 48 anni affetto da Aids invece.
Scriveva Mao: «Budao Changcheng fei haohan», chi non è mai stato sulla Grande Muraglia non è un vero uomo.
p.s. in foto Colli di anatra speziati, pronti da mangiare: uno snack che definirei irrinunciabile!
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