Kuching, Bako Park
Ago 23
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Il tassita è preciso come la stiratura della sua camicia che sono certo ha indossato per noi. Ha il collo consumato e mi fa pensare a quei paesi in Italia dove le persone si tengono il vestito buono per il matrimonio, il funerale oppure per il giorno della festa. È pulito e pettinato, è profumato e nutre quel rispetto figlio di un colonialismo antichissimo: sono sicuro che la mia stretta di mano, ieri, alla fine della nostra contrattazione lo abbia colpito e rassicurato, che abbia steso le basi per un rispetto reciproco.
Al parco del Bako si arriva dopo circa 30′ di auto per circa 50 myr oppure per molto meno e circa 1 ora, con il bus, con aria condizionata.
Il parco è una delle meraviglie del Borneo e nasconde interessantissime specie di animali così come piante sconosciute oltre oceano. Un parco tutto sommato organizzato anche se meno di quanto mostrato. Al biglietto di ingresso (20 myr quindi circa 4 euro), va unito il biglietto di andata e ritorno per la barca (40 myr): il parco vero e proprio è infatti oltre un tratto di mare calmo e verdastro il cui panorama è disturbato soltanto da formazioni di roccia a strapiombo sul mare o nel mezzo del tratto stesso. Una roccia di sabbia frustata dal vento e modificata dalla marea che ora alta, ora bassa, impazza visibilmente in tutta l’area. La marea e la corrente non permettono di avere orari precisi: l’ultima barca, oggi, è alle 15, ma questo lo si scopre appunto arrivando li, parlando con il personale.
La biglietteria apre alle 7 ed il consiglio è di arrivare il prima possibile perché al mattino ed alla sera le scimmie nasica escono dai loro rifugi e perché più in generale è maggiormente facile vedere gli animali.
Pigre, colorate e magre: così le barche aspettano i visitatori: occorre comporre gruppi da 6,8 persone e non importa se alcuni con ed altri senza guida al seguito.
Sul tema guida l’indicazione è di fare senza seppure con loro è molto più facile vedere gli animali meno visibili ad un occhio meno esperto ( lucertole volanti per esempio) oppure notare alcune specie botaniche: le guide tendono a spaventare romanzando i pericoli, gli incontri con gli animali, raccontando di recenti morti dei visitatori causa caldo, sete. Alcune storie, purtroppo, sono storie vere.
La spiaggia di arrivo è pacifica e primordiale: minuscoli granchi lavorano migliaia di palline di sabbia e forano la battigia orfana dell’acqua: la bassa marea sgombera una zona consistente di un misto fra terra e sabbia lasciando alberi scheletrici che non è chiaro come siano cresciuti in acqua di fatto salata. C’è da togliersi le scarpe, scendere in acqua, approdare come si fosse reali esploratori. La fortuna regala subito qualche scimmia nasica che mangia sugli alberi, serena e noncurante del gruppetto che scatta foto: una molle protuberanza ben più marcata di un naso ondeggia e si solleva ad ogni morso di frutta mentre una pancia bianca e gonfia si riempie: ho letto che queste scimmie nuotano proprio grazie al grasso accumulato sulla pancia, che sanno stare a galla e che in alcuni casi si tuffano.
L’ingresso vero e proprio del parco richiede una registrazione: occorre dire quali fra i sentieri brevemente illustrati al banco di accettazione si intende fare, occorre compilare un registro e firmare alla partenza ed all’arrivo così che si tenga sempre sotto controllo chi va e chi torna: sul tema però c’è stato modo di scoprire che i controlli funzionano molto poco. Due ragazzi incontrati lungo un sentiero hanno confessato di aver dormito nel parco pur senza aver prenotato un alloggio il che, senza dubbio, significa che alla sera non hanno firmato il rientro dal sentiero ed il che significa che nessuno è uscito a cercarli.
Credo valga la pena dormire una notte nel parco per riuscire a vedere più animali ma in un viaggio itinerante come questo ci sono tappe di più e meno giorni per cui la scelta è stata imposta dal calendario: se potete fermatevi così da uscire nei sentieri di prima mattina e di ascoltare la giungla quando di notte si anima diversamente.
Un cartello in bella vista chiede di portare abbastanza acqua e lo fa chiedendolo per favore: circa 36 gradi ed oltre il 90% dì umidità sono condizioni limite e camminare per ore impone di bere costantemente: diciamo circa 2 litri a testa in 3 o 4 ore.
I sentieri, nota dolente: la carta fornita non è così precisa né ben stampata e seppure i sentieri lungo il percorso sono ben segnalati posso dire che alcuni sono piuttosto deludenti: tralasciando come detto l’eventualità remota di incontrare animali nelle ore più calde direi che viene creata una aspettativa maggiore di quando dovuto: non si è immersi nella vera e propria giungla e si possono sfruttare sentieri piuttosto organizzati comprensivi di qualche scaletta in legno per superare i dislivelli. Si attraversano zone secche e rocciose, completamente assolate che cozzano con l’idea della foresta tipica del sud est asiatico.
Numerosi i punti panoramici: isolate e minuscole spiagge, promontori infestati da piante spinose dai quali spiccano alberi in equilibrio precario, mare deserto. Tratti di radici imbrigliano lunghi tratti di terreno in salita, segno che durante la stagione della pioggia l’acqua scorre copiosa: sono tratti scivolosi e scomodi ma tutto sommato agevoli da camminare. Va considerata la possibilità di utilizzare le piccole barche che dalla fine dei percorsi che portano in spiaggia possono trasportarvi alla fine di in altro percorso che a quel punto percorreste da fare solo al ritorno: non esistono percorsi più corti di 800 metri (solo andata) ed il caldo mette in serie difficoltà. Consiederate di camminare per almeno 5 km totali che in poco più di una mezza giro ata sono un obiettivo seriamente impegnativo. Sarebbe stato perfetto se i percorsi non avessero previsto la stessa strada per andata e ritorno.
Non camminate come in un normale trekking, fermatevi, ascoltate, guardate a naso in su: le scimmie non fanno troppo rumore e nei punti di folta vegetazione non è facile scorgerle: non aspettatevi vi attraversino la strada o cose del genere ma spendete tempo a cercare di scorgerle perché ne vale veramente la pena.
Cos’altro? Un maiale barbuto, tanto atteso durante il cammino e visto poi vicino ai bungalow, al ritorno quindi! Giusto il tempo di firmare il ritorno, registrare una sorta di prenotazione della barca, bere acqua fresca al piccolo bar del parco, verificare le scottature che il sole disegna sulla palle: anche camminare 20′ con il sole da un lato può riuscire a bruciare generando la classica abbronzatura del viaggiatore, una sorta di abbronzatura a mezze maniche.
Il pomeriggio è stanchezza e soddisfazione, consapevolezza che anche questo sia un viaggio continuamente iniziatico, di continua scoperta di un mondo di natura ed animali, di calma e distacco dalle consuetudini.
Non starò qui ad idolatrare o romanzare sensazioni, ad esagerare colpi d’occhio come dovessi vendervi una guida: me ne sto qui con la mia “penna” nervosa e costantemente eccitata, con i miei foglietti di appunti, con gli scontrini, fra ricordi da tenere e spese da annotare, con le mappe raccolte lungo il percorso, con nuove tappe da programmare.
Me ne starò qui, in sostanza, semplicemente a raccontare: ne sono certo, togliendovi il dubbio. Un viaggio nel Borneo: ne vale la pena.
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