Halong

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La baia di Halong dista 4 ore di auto da Hanoi.
La strada è buona ma i limiti di velocità ed il traffico rendono i pochi km un viaggio vero.
Dalla città i tour organizzati includono il trasferimento verso il punto di imbarco e nel breve tragitto cittadino il minivan raccoglie i vari turisti.
Lungo la strada si diradano le case e piccoli villaggi misti a ristoranti buoni solo a comprare acqua ed un piatto di noodles si alternano a centri in costruzione che continuano a farmi pensare a come doveva essere il Vietnam negli anni della guerra.

Forse i cantieri sempre aperti qui dove al massimo campeggia un concessionario honda sono il risultato delle bombe e della paura di quei giorni distanti appena 40 anni, una misura troppo piccola per avere un vero centro stabilmente abitato ed occupazionalmente sussistente.
Piccoli e medi tender accolgono gli zaini dei turisti al piccolo attracco. Ci sono giubbotti di salvataggio lerci e poca ombra offerta da un mango, riparo dal sole rabbuiato dalle nuvole ma forte da sembrare bastonare la testa. La guida parla che sembra avere una molla fra i denti e le parole fra sonno e rumore del motore sfuggono un po ma rendono il concetto più generle. Ci sono una coppia di indiani, due americane ed uno svizzero cicciotto che viaggia da solo in maniera piuttosto goffa e bambinesca ma mai inadeguata: finisce sempre, e non so come, per farmi pensare a me e Gianvincenzo. Gian lo sento quasi ogni sera: anche lui imperversa qui nel sud est asiatico, ma da solo, per poi incontrare alcuni suoi amici. Ci aggiorniamo e  consigliamo su posti e meteo, su gli attentati che il mondo ormai pazzo ci va offendo per motivi economici o religiosi. Ľultimo qualche giorno fa a Bangkok.  Parliamo di tappe e dubbi di vita, di ricordi. Non abbiamo ancora viaggiato insieme ma continuiamo a prometterci di farlo. Sento anche Edu e Reme, Anabel e Braulio, gli amici spagnoli conosciuti a Roma e Varanasi, in India. È un viaggiare insieme seppure a distanza, un condividere foto e consigli vari, nuove promesse di incontri.
La baia è un insieme di fomazioni rocciose che spuntano dal mare: un paesaggio da subito convincente che riempie gli occhi. Le barche sono confortevoli e le cabine in apparenza pulite anche se qualche scarafaggio è sempre in agguato.
Poche barche e praticamente nessuna privata: lenta navigazione ed il mare molto pulito seppure non cristallino  per via del fondale. Nella baia insistono anche tifoni ma raramente ed i pescatori vivono nei loro villaggi galleggianti nei punti più riparati. Poche persone e transumanze di turisti abbastanza rispettosi: le navi sono attente e cercano di essere distanti fra loro sia in navigazione che quando sono ancorate come per mantenere un silenzio naturale rotto solo dalle stranissime cicale della zona che urlano dagli alberi sui picchi di roccia.
Non più di due ore di navigazione per arrivare nel mezzo della baia che in realtà è circondata da altre piccole baie molto simili ma meno belle. Le escursioni prevedono camminate di salita verso le grotte naturali, scavate da acqua e vento, fatte di soffitti lavorati dalle onde,  sale piuttosto grandi dove si raccoglie l’umidità delľesterno che unita al fresco interno, in certi giorni crea addirittura delle nuvole che rimangono li dentro la grotta. La zona è calda da stancare, umida, molto. Ľombra delle rocce o delle piante fa si che si percepisca sulla pelle una nettissima differenza di temperatura e le correnti l’aria che si infilano nella baia fanno da condizionatore naturale.
I pescatori si muovono su barche di legno, usando rudimentali remi: il mare non sembra così pescoso ma loro galleggiano li da generazioni, generazioni che non fanno troppi calcoli e che non hanno poi troppe alternative: giornate silenziose, reti da strecciare, perle da preparare per la vendita. Uomini e donne lavorano sulle barche di famiglia mentre i loro figli si lagnano e si riposano dentro piccole amache che fanno da culla.
Ľescursione più emozionante è quella in kayak, soprattutto per me che non so nuotare: rassicurazioni e qualche spiegazione della guida, su i giubbotti o di salvataggio e si va, stando attenti a salire nel kayak senza saltarci dentro per evitare il rovesciamento.
La guida si era detta sicura vista la tranquillità del mare in quel giorno ed ha rassicurato tutti dicendo che solo il 2% delle persone si rovescia. Ha salutato tutti i partecipanti con una spinta verso il mare più aperto, da li a forza di scoordinate pagaiate c’è da raggiungere uno dei villaggi di pescatori mentre, sulla via del ritorno c’è silenzio e la bellezza naturale da godere. Concerto di cicale e paura per le manovre, ondeggiamenti ora più ora meno accentuati, attimi di galleggiamento attonito, a pagaia in mano, in assenza di corrente: è possibile rimanere a scattare foto (anche se farlo fa sbilanciare e rischiare quantomeno la caduta in acqua della macchina o del telefono ed è per questo che ho evitato).
Qualche piccola, corrente guida verso la roccia mentre il paesaggio distrae vista la bellezza: centrare in pieno la montagna può accadere, come nel mio caso (meglio se di punta per evitare di finire in acqua e meglio se lentamente, per evitare danni).
Sono felice e soddisfatto di aver combattuto la paura, di essere stato li in quel silenzio e di aver riempito gli occhi di quel verde, le orecchie di quelle cicale così acute. Spero che le due americane tengano fede alla promessa di inviarmi le loro foto scattate.

 
  

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