Syntagma

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 piazza syntagma

Io a piazza Syntagma ci sono stato davvero ed ho aspettato, per citarla, che tutte le chiacchiere che la coinvolgevano si fossero fermate. 

E’ arrivata ad essere citata anche più volte al giorno, citata da gente che non c’è mai stata e che si riempie la bocca di quello che la tv va blaterando. Le immagini sono state quelle delle folla arrabbiata e preoccupata, su quella piazza, in protesta, già da mesi,  in contrapposizione con la politica dei sacrifici utili a restituire i soldi che la comunità europea ha prestato al governo Greco.

Si, voglio descrivere la situazione grossolanamente perché d’atteggiarmi ad esperto di diritto ed economia, a differenza di quelli che negli ultimi 2 mesi hanno invaso la rete, non ci penso per niente. Il concetto è che la Grecia è in Europa, che ha pesanti debiti, disoccupazione, che la gente ha fatto sacrifici e che il paese è allo sbando, che le banche sono chiuse e non danno soldi a chi ce li aveva depositati, che i politicanti si affannano a risolvere quanto i loro stessi predecessori e colleghi hanno causato.

Il primo paese democratico, culla della cultura, ridotto a schiavo di percentuali, contratti capestro, prestiti e debiti. La gente in strada, raccoglie immondizia per fare provviste, chiede elemosina. E’ degradante, triste, un terribile preambolo del destino di altri paesi.

Già da gennaio la polizia presidiava la piazza ogni giorno e per precauzione erano stati chiusi i giardini circostanti, per evitare potessero essere nascondiglio di armi o persone. Si sapeva, si percepiva che di li a poco sarebbe scoppiata la protesta, il malcontento politico sociale, la crisi politica. A Gennaio ero li, si respirava, si capiva. 

Mi fa sorridere come rispetto all’immigrazione ci si esprima sempre dicendo che le persone in difficoltà vanno aiutate a casa loro, al loro paese. Lo si afferma per auspicare siano scoraggiati i flussi migratori ed i disagi conseguenti (vedi coste italiane): fornire risorse economiche ed alimentari ma a destinazione.
Eppure in questo caso i filosofi da tastiera, gli esperti di vita, vanno scrivendo che non è giusto abbonare il debito al governo Greco. Eppure i Greci sono in difficoltà e sono rimasti a casa loro.
Forse, allora, la verità è che tanto caritatevole spirito è “solo per dire” e non reale umanità? Forse la verità sta nel fatto  che la gente non capisce davvero ma s’affanna a dire di averlo fatto.

Syntagma, la piazza, Atene, la Grecia. Io ci sono stato che già la sognavo e ci pensavo da un po’, ci sono stato che ero già innamorato e quando mi sono perso nelle locande dove suonano il Rebetiko, una sorta di blues misto a folk greco, ho capito parecchio di quella malinconia dei muri scalcinati, dei gradini da scendere per arrivare ai tavoli di legno, delle mani sporche della donna rugosa in cucina, di quelle facce così simili alle nostre, in generale, e così simili alle nostre quella sera, attoniti davanti a quello spettacolo di semplicità. Penso di aver capito qualcosa in più di quella cultura, di quelle storie immaginifiche, magnifiche.
Il rebetiko, la musica che, dice Capossela, ti fa venire voglia di cantare piangendo, di fumare tanto e di spaccare i piatti mentre canti dell’amore, della famiglia, della casa e dei debiti.

Quella stessa malinconia, per uno strano sillogismo, la sento dentro rientrando a casa quando mi muovo come un ospite discreto. Questa sensazione di non sapere esattamente se rimarrò li o se dovrò rinunciare alla piccola casa a cui tengo tanto, nella quale ho lavorato e costruito in prima persona, mi divora da dentro e non mi fa sentire il gusto di cucinare, di organizzare, approvvigionare. Così mi muovo come svolazzando, guardando tutto e niente, di fretta, come per distaccarmi per metabolizzare quello che pare accadrà.

Dovrò lasciare casa perché sulla mia busta paga c’è scritto che sono dipendente di un’azienda in crisi. Una crisi non mia, causata da altri, una crisi che sono però chiamato a risolvere, a subire io, un po come è successo ai greci.
Qual è la soluzione? Trovare i soldi. Ma le banche non danno soldi a chi è in difficoltà col lavoro alimentando lo stereotipo-verità legato al fatto che danno soldi solo a chi li ha già e che non ha quindi bisogno di averne.
Il riassunto è che ho sempre lavorato, la crisi aziendale non è colpa mia, ho sempre onorato le rate del mio prestito ma la banca non si fida di me perché sono un soggetto a rischio.

Posso almeno accedere al mio tfr per racimolare qualcosa? Trattamento fine rapporto, versato ogni mese dal mio stipendio. Eh, no, non posso perché quella somma mi verrà data quando l’azienda fallirà o sarà venduta, ammesso poi sia venduta, ad un prezzo congruo, ad un prezzo tale da risarcire tutti i dipendenti. Sono soldi miei ma non me li danno e non è detto che li avrò tutti. Così ancora una volta sono come i greci, in fila fuori alla banca. 

Il governo ha emanato una sorta di riforma del lavoro e si affanna a comunicare con vari canali che occorre adeguarsi a contratti brevi, alla flessibilità: peccato però che le banche e le assicurazioni esigano invece stabilità e contratti di lunga durata. Insomma, flessibilità o no? Basiamo il lavoro sulla flessibilità ed il sistema creditizio sulla stabilità?
Ennesima contraddizione.

Lavoro piano combattendo con i colleghi che ormai hanno tirato i remi in barca: gestire attività e rispettare i tempi di consegna è praticamente impossibile e questo fa star male, mette in difficoltà con il cliente che sa ma che non può fare a meno di chiedere. Non esco più a a pranzo, vedo meno gente, per scelta, come per distaccarmi, gradualmente, come sto facendo per la casa.
E’ la fine di un epoca e mi piacerebbe saper spiegare cosa e come era questa azienda, la sottile trama di amicizie e professionalità che in 15 anni ho visto, tessuto e vissuto, ma non c’è tempo, corriamo ancora, pure se senza sapere verso dove.

Sul treno penso, lavoro al viaggio, comunque vada: nella disperata eccitazione mi ritrovo, anche se pensare al futuro di casa e lavoro significa ficcare lo sguardo nella nebbia.

Syntagma è là, comunque vada, da prima della crisi, e ci sarà dpo la crisi. Mi vengono in mente i passi decisi dei soldati durante il cambio della guardia, a quella procedura ammirata proprio lì, a Syntagma.

Ecco, con quei passi decisi e così organizzati voglio andare avanti.

piazza syntagma cambio della guardia

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