Emmanuel

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I bambini nascono e sembrano dei vecchi, degli esperti, almeno.
Arrivano fra lamenti e lacrime, dolori, fronti corrugate, piccoli e grandi sbadigli che forse sono sonno, forse noia, forse consapevolezza per qualcosa di già previsto ed ora in scena.

Loro hanno fatto un lungo viaggio, lungo circa 9 mesi. Hanno già la loro esperienza, che ci crediamo oppure no: hanno già ascoltato musica, mangiato e dormito, vissuto il bello del venerdì, la sindrome della domenica sera.

Hanno viaggiato rannicchiati e dormito col rumore rassicurante del liquido amniotico, un rumore che forse sembrava lo sciabordio che Ulisse poteva sentire nella notti di mare calmo, navigando verso Itaca, nell’odissea della sua vita, diretto verso la casa, in senso lato la famiglia, “la madre”.

Così arrivano e sembrano consapevoli astronauti piombati qui da molto lontano, sub emersi di botto per prendere fiato, infastiditi dalla luce e dai rumori; e respirano veloci ma piano, leggeri, e ci lasciano col dubbio rispetto a cosa e come saranno in questo mondo, di come e se saremo adeguati vivendo con loro.

Ma cominciamo male parlandogli con le voci affettate e le parole che poi non esistono davvero. Forse ci può stare in cambio di tutti i baci e degli abbracci che in pochi giorni accumuleranno e che seppure a distanza anche io ho già inviato.

Benvenuto Emmanuel

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