Estate
Lug 31
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C’era l’estate a Roma, l’estate classica, diversa da questa che da quando ho memoria è la più la fredda e piovosa, diversa da quella classica e rassicurante che aspettavamo.
L’estate di Roma è nei concerti lì nei parchi, nelle serate alle ville comunali tirate a lucido; l’estate è nel prolificare dei cartelloni dei concerti dei gruppi indie rock, alternative rock e combat folk; in tutti i capelloni vecchi e nuovi, nelle bancarelle attorno Castel Sant’Angelo, piene zeppe di libri illeggibili, in quelle rionali che vendono soprammobili in plastica riciclata e tutte quelle altre cose che finisco per comprare perché convinto, accecato della loro estrema bellezza: tutti oggetti che immancabilmente finisco sempre per non usare. Il punto è che lì per lì, sul posto intendo, tutto quello mi fa sentire bene, come immerso in una atmosfera di rinnovamento positivo, di cambio di marcia, e di leggerezza.
L’estate è l’odore di farina bruciacchiata sul fondo del forno per la pizza, l’odore della pizza cotta negli stand dei mercatini allestiti, l’odore delle salsicce che frigolano e dei panini che si scaldano e che d’estivo non hanno niente. L’estate è qualche birra in più, spillata annacquata, bevuta nei locali un po vuoti dove finalmente puoi notare le pareti e gli arredi che durante l’anno sono oscurati dalle persone. L’estate qui a Roma è il tramestio della gente nella polvere dei vialetti attorno a Castel Sant’Angelo.
I cinema all’aperto, anche se non c’è mai quello che avrei voluto vedere, le passeggiate a lungotevere, il mormorare, camminando, le canzoni di Gabriella Ferri, il cullare qualche ricordo speciale.
Estate è anche l’ odore di asfalto surriscaldato quando poi piove appena e il sole si riaffaccia: un odore che sa di trincea metropolitana, di strade assolate ed asfalto chiarificato dal tempo e dal sole. Allora penso alle camminate fra le strade vuote, ai giri in vespa che mi mancano un po, quelli per Trastevere a metà mattina, in ferie prima di partire davvero per un viaggio, ai giri su al fontanone del Gianicolo, a far le foto con le turiste francesi che per una strana regola sono sempre lì se ci vado in Vespa.
La mia estate è anche casa di mia madre, quell’odore dell’erba appena tagliata, il gusto di camminarci su a piedi nudi, quando sono stanco per il lavoro; allora annuso forte e risento l’odore dell’alloro della siepe, con un orecchio ai discorsi insistenti delle colombe, quando è marttina, quando ancora l’aria e fresca e mi sveglio contento. L’estate è nei gridolini di Flaminia, la bimba in bicicletta, la figlia dei nuovi vicini: ed io la guardo scrivendo, da dietro la fitta zanzariera della mia camera, e mi gusto il suo equilibrio precario, penso ai km che percorrerà, alla soddisfazione di spingere sui pedali, di andare e tornare.
Estate: le gelaterie con i commessi stagionali giovani ed inesperti che mi stimolano diffidenza e resistenza a quel rinnovamento che abbatterebbe le mie abitudini, le mie sicurezze: non solo i gusti prescelti ma anche l’ordine con cui devono metterli sul cono.
Quei nuovi commessi sanno dei miei 2 coni piccoli invece che uno grande che sarebbe volgare e dai gusti male abbinati sia per sapore che colore?
2 coni mangiati spesso in due gelaterie differenti, nel giro serale fra le gelaterie, da fare in moto oppure in Vespa, col vento in faccia, pensando che prima o poi darò sfogo al mio progetto di quella mappa di Roma, una mappa fatta solo di gelaterie e pasticcerie.
Oppure 2 coni gelato, piccoli, ma mangiati in una sola gelateria, con la formula escoMangioRientro, tutta una parola, tutta di un fiato: quei nuovi commessi non sanno quindi che devono farmi 2 diversi scontrini. Ecco, perché sono diffidente.
E’ irrinunciabile il silenzio nelle strade vuote, assolate, di pomeriggio, già dalle 15, quando cammino e mi chiedo dov’è che sia andata a finire la gente che la mattina era ancora in città.
La felicità della mia estate sta nella mia finta disperazione messa in atto nella corsa che inizio quando quei viali si rabbuiano perché sta arrivando un temporale estivo, ed allora io corro contento e fintamente preoccupato: c’è un attimo, mentre il cielo si fa scuro, nel quale posso capire con sicurezza che pioverà fortissimo ed è lì allora che posso essere felice e che fingo di scappare, ascoltando solo le cicale, pensando a quando sarò volutamente zuppo e correrò, cercando di contare a mente,stupidamente, tutte le gocce di pioggia che mi colpiranno.
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