Un regalo

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E’ stato il tuo compleanno e non ho trovato il tempo, il coraggio, un’idea migliore di quella di rimandare il prepararti una sorpresa, un regalo.

Ho ripensato al tuo, per il mio compleanno, a quando poi me lo hai dato, quella mattina, col nostro solito ritardo, mentre continuavamo ad inciampare, uscendo da casa mia, invasi di scatoloni, bagnati dalla poggia fredda.
E quel regalo era bello, ma preferivo quel tuo parlare del profumo del deodorante per ambienti al piccolo ingresso, quella tue frasi così stupide, usate per cambiare discorso e tirarmi un po’ su, a modo tuo.
Forse il tuo regalo era quella mattina, erano quelle tue frasi, quella tua disponibilità ad aiutarmi.

Non ho trovato il tempo, forse un’idea buona per ripagarti.
Eppure, quando martedì scorso, dal concerto, ti ho mandato quel messaggio mi hai risposto che ti ho commosso ancora, che sono un uomo meraviglioso. Ed io parlavo alla barista di ordinazioni e musica, con parole sfumate, come per voler per forza fare rumore e curarmi un po’. Mi sentivo in colpa, per quella tua bella etichetta che poi, era un nuovo regalo per me, un bellissima inconsapevole bugia.

Ho guidato da solo ed in silenzio, in moto, lento sulle strade umide della notte.
Non potevo comprare quello che t’avrei regalato. Sarei corso da te per portarti la forza di credere dei marinai, quella loro insistente idea di conquista, la disperazione dei viaggiatori che rincorrono l’ultimo autobus, i mie pantaloni, quelli orribili che uso nei miei viaggi, impolverati davvero dai km.
Avrei voluto incartarti un regalo vero, con i gesti rapidi e sicuri con i quali i farmacisti incartano ogni piccola scatola, come se poi dovessero proteggere i loro clienti da chissà quale vergogna. Avrei voluto darti un vero regalo, dartelo con i gesti rapidi e consapevoli dei barman, e darti il segreto, il motivo del loro inserire sempre e comunque due cannucce nei bicchieri.

Ho immaginato come saresti stato felice se fossi riuscito a sintetizzarti la mia spasmodica mattutina ricerca di endorfine, sfruttando la chimica dei liquidi industriali, nascosti dietro il nome di bevanda al gusto di cioccolato forte, erogata dal distributore del terzo piano qui in ufficio.
Oh si, come ti saresti sentito a casa, rassicurato e sereno, se ti avessi  direttamente regalato un distributore automatico  uno di quelli che per te è come una mano familiare che ti nutre da anni, che ti ingozza  di quel cibo preconfezionato, rassicurante perché sempre uguale, senza sorprese, senza tradimenti.
Io che adoro cucinare avrei voluto organizzare una cena per te, dove mangiare solo cibo selezionato da un distributore automatico messo lì, apposta per te quella notte. Mangiare cibo distribuito così, un po’ freddo e colorato, da scartare e consumare in piedi, guardando fuori dalla finestra, illuminati dalla luce bluastra del distributore stesso. Allora si, saremmo nutriti e non di cibo, allora si, cucinare non mi sarebbe importato, almeno una volta.

Ho guidato lento, guardando i secchioni dell’immondizia rovesciati per errore, nella notte, dai camion al lavoro: li ho pensati come  abbandonate tartarughe metropolitane , incapaci di tirarsi su e continuare a vivere.
Così alla fine non sono riuscito a capire e fare: ho solo detto tutto, in quel messaggio che hai ricevuto, ho solo detto altro, scrivendo qui ora, una parte di quella notte.

Tanti auguri Gianvincenzo, in ritardo così come sempre per noi.

Non ho saputo farti un regalo, è la verità.

 

 

 

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