Banchine
Giu 18
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Nella moltitudine della folla operosa della stazione, disciolto fra le storie di ognuno, si sentiva come tutelato, protetto dal non riuscire ad essere notato.
Camminava lento: ora sembrava aspettasse qualcuno, alla banchina, ora invece, sotto al tabellone luminoso indaffarato in continui cambiamenti, che il suo treno stesse per partire.
La stazione era un formicaio fatto di storie, fatto di qualche segreto, di vite al margine, di giovani in viaggio, di organizzati viaggiatori solitari, coppie affiatate, famiglie sempre intente a cercare qualcosa nelle loro borse, nelle buste disordinate che vanno trascinando. Una stazione di incontri e sorrisi, abbracci spezzati ed altri rinnovati, emozionati.
Una babele che pareva organizzata, una moltitudine nella quale perfino le lingue straniere parevano più comprensibili, imbrigliate in un lotto finito di discorsi , prevedibili, a tratti abitudinari.
Ora scriveva, seduto sulla panchina di marmo fra i binari, ora guardava i treni rifiatare cambiando i passeggeri da cullare.
Più che farlo sentire solo, quella stazione, risvegliava ricordi e sapeva dargli speranze di nuovi viaggi, supposte avventure, persone.
L’altoparlante si sgolava in continue comunicazioni col risultato che i ritardi, i guasti, gli avvisi di arrivo o di partenza andavano perdendosi fra le orecchie stanche ed annoiate dei viaggiatori già in attesa: tutto così monotono ripetitivo ed organizzato da sembrare uguale a se stesso, trascurabile.
Passeggiare nel tunnel dei negozi era un po sentirsi all’estero ed il suo sguardo curioso, ogni volta rinnovato ed interessato, cancellava i suoi tratti somatici finendo per spingere i commessi del primo turno ad approcciarlo in inglese.
Il fresco umido della mattina lo svegliava mentre il personale ripuliva i binari, mentre ogni inserviente andava restituendo un tono tedesco ad una stazione del tutto italiana, annoiata, in attesa di una svolta di chissà poi quale genere.
Ah, quel camminare svagato, senza tempo, giocando a perderlo.
Si era spaventato per la trama di un libro che aveva preso fra le mani, perdendo tempo alla piccola libreria: troppo simile alla sua vita, al suo stato d’animo. Si era lucidato gli occhi incrociando lo sguardo sereno di un bambino paffuto e riccio: forse pensava ai suoi figli, desiderati, immaginati. Aveva posato quel libro come si fosse scottato con quelle pagine e si era rifugiato nel disordine accelerato delle formiche impazzite: i viaggiatori in partenza nei primi e più importanti binari, quelli lunghi fino a “più lontano”.
Si era fatto travolgere dalla folla che inciampava nelle proprie valigie e rapire dal vento della loro fretta. Aveva sentito prima il cuore accelerare, poi calmarsi e rifiatare.
Pensò, annusando l’odore della crema sul suo stesso viso.
“Dove sei?”
Rispose al semplice sms: “Ehi, ciao, sono alla stazione. Arrivo”
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