Cambi di programma

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Alcuni autisti dormono in auto. Li ho guardati mentre fumavo l’ultima sigaretta della sera, seduto e sudato davanti all’ingresso del nostro hotel.
Li ho guardati non capendo o forse solo non accettando, pensandoci su e passando la mia mano ancora profumata delle spezie della cena sul mio viso madido, e riavvolgendo il nastro del giorno.
Ho pensato che Simpson ha la fortuna di alloggiare in una stanza condivisa con altri guidatori, qui nel sottotetto, mentre alcuni altri dormono sghimbesci in auto: posizioni così distorte da sembrare una delle loro statue nel tempio.

Simpson ha avuto l’idea di proporci un cambio di programma visto che durante il viaggio gli ho parlato molto di quello che la guida dice o di quello che abbiamo letto circa il sud India. Passano i giorni e credo che pian piano abbia capito a cosa siamo interessati. Saremmo dovuti andare diretti a Tanjore mentre da stamattina abbiamo fatto tutt’altro per arrivare qui solo ora, alle 19.

Lungo la strada parliamo spesso di Europa fintamente unita, della produzione dei mattoni in India, degli impronunciabili nomi dei templi hindu e del tabacco dei miei sigari, della condizione delle donne qui in india: forse le più giovani riescono a studiare e fra qualche anno non ci saranno più donne che di mestiere fanno il muratore, ne donne che camminano in strada con una pila di mattoni da reggere sulla testa.

Le case lungo la strada sono costruite con mattoni di fango. Abbiamo visto come li preparano: piccole forme di legno per incasellare un impasto di terra ed acqua, semplice da essere incredibile.
Una volta asciugati vengono impilati costruendo 4 muri al centro dei quali viene acceso un grosso fuoco che serve ad asciugarli del tutto.
Poco dopo sono pronti, economici e pratici, leggeri da essere portati sulla testa da abili donne un po’ ingrigite dagli anni e sottomesse da emaciati e nerissimi muratori che le attendono ai piedi del muro da terminare.
Le case hanno bisogno di manutenzione continua non tanto per i muri, che comunque vengono danneggiati dalle piogge, quanto per i tetti che durano circa 3 anni visto che moltissimi sono fatti di foglie di cocco.
Mi hanno detto che resistono al Monsone e che le case sono sicure ma è ovvio che ai nostri poveri occhi occidentali tutto questo paia solo un paradosso.
I villaggi agricoli alternano pastorizia (capre) a coltivazioni di canna da zucchero e riso: incredibili attrezzi semplici, zappe dal manico corto che fungono anche da pale e tanta buona volontà, lavorando scalzi fra fango e piccoli torrenti dove scorrono i liquami delle fogne inesistenti.
Mi chiedo spesso il motivo dei manici delle scope e delle zappe così corti ma la mia domanda a loro pare così sciocca che non riesco nemmeno a farmi capire finendo per rimanere con il dubbio: perché lavorare piegati potendo fare lo stesso lavoro con meno fatica, usando un manico più lungo ?

Le strade che connettono un piccolo paese al successivo sono piuttosto ben messe e pulite visto che nei villaggi si coltiva e si vive quasi senza tecnologia ne plastica alcuna. Il disordine e lo sporco arrivano alla fine dei lunghissimi rettilinei delineati dai giganteschi alberi di tamarindo: piccoli centri urbanizzati nervosamente, senza logica ne sicurezza. Gli animali liberi, la totale devozione ed il totale impegno nei templi e l’inconsapevolezza rispetto alle conseguenze del mancato igiene, purtroppo, fanno il resto della parte condannando le persone ed i posti ad una condizione di stupefacente miseria.

Ogni mattina apro il giornale e leggo di cecità e malattie mentali, di gente scomparsa o trovata morta in strada. Tutto potrebbe essere curato od almeno alleviato con cure accessibili ma l’ignoranza vince su tutto e la gente si contamina, si lascia andare, si infetta non pulendosi, non avendo cura di costruire fognature, di convogliare acqua: si accettano malattie come segni divini, si giustificano condizioni sociali e fisiche con la reincarnazione.

Lungo la strada incontriamo spesso mendicanti divorati dalla lebbra e rese cieche da infezioni di vario genere: hanno gli occhi chiarissimi, quasi liquidi, ricoperti da una patina mostruosamente compatta e biancastra che gli scherma la vista e lascia intravedere il nero profondo di una pupilla spenta. Sono morti che camminano a stento, hanno visi umidi di piaghe purulente.

Le statue immobili vigilano tutto questo fuori dai coloratissimi templi e nulla e nessuno si muove per risolvere oppure almeno comprendere: la precisione chirurgica delle dea Kali quale demone dovrebbe uccidere ora che l’india pare allo sbando più che mai?

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