Cielo rotto

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Rain Sky

Uscendo dal supermarket teneva a stento in mano la spesa della sera.
Se qualcuno, qualcuno come lui, attento ai particolari,  l’avesse visto, avrebbe indovinato tutta la sua vita dalla spesa che aveva in mano: almeno lui, lo faceva spesso e credeva di farlo al meglio.

Sentì l’odore della pioggia, un odore fortissimo che gli sembrò così simile agli odori di casa Italia; ma quelli erano più simili alla terra bagnata oppure , nelle città, d’asfalto caldo e poi bagnato, in qualche modo un odore di trincea.

Qui il cielo e le strade parevano ed erano più grandi, l’odore più intenso, la vita più lenta. Gli sembrò che il cielo stesse per rompersi e che dalle crepe potesse gettarsi la pioggia più insistita e pura che avesse mai annusato, sotto la quale avesse mai corso o camminato lento.

Fu così infatti, il cielo si ruppe e lo fece senza rumore: le auto sulla statale interrompevano il fittissimo concerto d’acqua solo a piccoli tratti.

S’accorse d’essere  cambiato. Non era più riuscito a raccogliere, memorizzare, catalizzare le giornate, le emozioni : non c’era nulla nella parole da scrivere, a casa, o da dire nella chiamata della sera, quando la piccola telecamera lo inquadrava dopo cena. Si sentì un’esiliato, anche se per scelta, e ripercorse veloce, nel tragitto dalla porta automatica all’auto nel parcheggio, la logica delle scelte che l’avevano portato a cercare lavoro in Finlandia, quell’estate, in quell’estate così anomala, fatta solo di giorno: cominciò tutto nella stagione del raccolto.

Un lavoro semplice, una decisione complicata, tanti chilometri da casa, un cielo grande ed a volte troppo scuro, un cielo che pareva immobile sopra la testa; troppo immobile per non sentirsi solo .

Era diventato, ora, ciò che era davvero.
Adesso, solo adesso. S’era ritrovato standosene solo, senza pensare o filosofeggiare: un posto semplice, una vita modesta di campagna e periferie organizzate. Un popolo accogliente con il quale mescolarsi come l’acqua fa con l’olio.

Quella stagione di vita non era una pausa ne un passaggio. capì d’essere stanco e di essere arrivato, apprezzato. Capì il senso di bastare a se stesso pur senza rimanere da solo come un’eremita: non era la voglia di parlare a mancare ma la necessità.

Si rese gli occhi liquidi, bevendo vodka sul divano. Si regalò ricordi sfocati che non sapeva più dire se fossero veri oppure solo temuti.
Ormai “lassù” era casa sua  e si sentì dentro questo concetto senza sfumature di falsa soddisfazione.

Un’improvvisa effimera quanto essenziale felicità lo accecò come una mistica verità: davanti allo specchio si guardò come al microscopio, indagando le pieghe che gli anni glia avevano impresso sulle guance. Sorrise, ripensando  quei viaggi, al sole duro ed il sale secco, guidando col vento in faccia.
Adesso Caponord gli era quasi vicino di casa: adesso forse l’aveva conquistato davvero.

In moto decise di andare in vacanza verso  casa, la vecchia casa. Guidare verso casa, come fosse un ritorno, anche se in realtà era un viaggio il cui ritorno l’avrebbe allontanato da quel concetto di casa che ormai non era più suo. Accendendo il motore ripensò che l’aveva capito anni prima.

E’ il ritorno che da senso al viaggio.

 

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