Verso Varanasi
Ago 28
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Il telefono ci sorprende durante la colazione.
Hello!?!? la compagnia aerea ci avverte del ritardo del nostro volo per Varanasi.
2 ore da spendere causa il maltempo: il monsone della notte si é fatto sentire.
Raminder, il “nostro”autista indiano, é stato il più felice del ritardo: stretto nel suo turbante bianco appena composto ci ha accompagnti nel tempio Sikh ( Delhi Sikh gurdwara Rekab).
I Sikh sono devotissimi ed osservanti di una religione che sembra un misto fra induismo e religione musulmana. Strettissima l’osservanza delle regole di vita fra cui spicca il futile esempio relativo alla norma che impone di non tagliare mai barba ne capelli e di non fumare ne bere alcolici.
“Solamente conosce il cammino, oh Nanak, colui che guadagna il suo con il suo sudore della fronte e poi lo condivide con gli altri” (Guru Granth p 1245).
Osservano semplicissime norme di condivisione e nelle cucine aperte 24 ore al giorno servono pasti caldi per chiunque decida di dividere con loro la mensa.
Puoi essere ricco ma è bene tu condivida; la vita non è un peccato originale ma luce nata dalla luce suprema. Non peccati ma norme comportamentali quindi, non pene ereditate nascendo ma norme ragionate ed insegnate fino ad inculcare un gusto reale per le offerte a chi ne ha bisogno : condivisione.
Il tempio non è approcciabile senza qualche accorgimento pratico e credo che senza Raminder saremmo stati in difficoltà.
È necessario coprirsi il capo, entrando, lavarsi i piedi nel rivolo d’acqua all’ingresso, acquistare un’offerta in cibo da dividere col santone all’ingresso.
Raminder si preoccupa di verificare che non portiamo sigarette nel tempio e ne è così preoccupato da tornare in auto per lasciare lì il pacchetto nel nostro zaino: il rispetto del luogo e delle regole anche, a prescindere dai controlli che, di fatto, non ci sono.
Il tempio è un crogiolo di colori e voci devote.
Molti lavorano, solo a mano e con attrezzi arcaici, all’ampliamento del tempio. Colpisce allo stomaco vedere le donne che portano via mattoni e terra su ceste improvvisate poggiate sul capo. Altre lavano il marmo di ingresso con scope più sporche della polvere che lavano e spazzano.
Entrare a piedi nudi come è imposto pare un impresa: terriccio e sporco ricoprono il marmo e l’umido sotto la pianta del piede non rassicura.
Colpisce allo stomaco, infatti, anche l’odore dello sterco di mucca usato per impastare calcinacci e terra rossa.
Dentro il tempio si leggono preghiere dal libro sacro, si fanno piccole offerte e si mangia la dose di cibo sacro che uscendo fornisce un santone con barba e scimitarra.
Mangio, per rispetto, la polpetta oleosa che invade il mio palmo.
È cibo di Dio, ti farà sentire forte, mi dicono.
Assaggio ed in qualche modo mi immagino migliore, se non altro per l’impresa ed il coraggio. Il gusto, per la cronaca, non è impossibile e ricorda un po’ il semolino ma burroso.
Un colonnato bianco circonda una piscina di acqua che ci spiegano essere in grado di guarire malattie ed impurità.
Il ritardo del volo ci ha regalato suggestione ed esperienza ma il sorriso soddisfatto di Raminder è il vero valore aggiunto.
Dobbiamo andare in aeroporto e così non proseguiamo la visita fin sotto le cucine ( consigliatissime però, stando anche a quanto leggiamo anche nel registro visitatori).
In aeroporto abbiamo il tempo di un cappuccino bollente prima di scoprire che il volo è ulteriormente ritardato…
In ogni viaggio che ho fatto, che fosse un bus, un treno, un taxi oppure un aereo ho avuto in dono ore o giornate in cui mi ha assalito il dubbio sul cosa fare, lo scoramento iniziale, il disturbo interiore per il tempo sprecato e la necessità di arrangiarmi, chiedere, condividere, andare, scegliere, cambiare percorso. È capitato spesso che il programma cambiasse o fosse in pericolo per ritardi, disastri, rotture di motore e tanto altro che l’Asia nasconde.
In ogni viaggio in cui è capitato ho capito nuovamente che quei momenti sono il senso del viaggio e l’inizio di una esperienza che farà da bagaglio davvero pesante.
Ogni volta, la fortuna ha però girato nel verso giusto ed il ritardo, la rottura, la mancanza, la perdita, ha finito col portarmi qualcosa in regalo, a colpi di incredibili casualità.
Senza pranzo e scoraggiati ci imbarchiamo finalmente sul volo, ma non senza dover tornare indietro dopo aver fatto la fila: manca una targhetta sul bagaglio a mano, una targhetta dimenticata dalla polizia; gli indiani paiono sempre organizzati e pedanti controllori ma rivelano una dose di approssimazione da guinness dei primati.
Nel frattempo è scoppiata una protesta con tanto di polizia che osserva per controllare ; gli indiani urlano frasi fatte solo di r e di g, arrotolano la lingua, pronunciando e gridando. I pochi occidentali presenti cominciano a chiedersi il vero motivo della protesta.
Una spagnola attacca discorso e mi chiede in continuo notizie: solo a coda ultimata, a due passi dall’imbarco, ci saluterà accorgendosi che ha sbagliato volo…
Preso posto in aereo ci viene comunicato ancora un ritardo, stavolta a causa di problemi tecnici che saranno risolti solo dopo 2 ore qualche rutto di disappunto dei nostri vicini di posto e un paio di peti che inquinano l’aria…
Ci confrontiamo con un gruppetto di italiani a fine vacanza. Qualche consiglio e gli auguri di buona vita per poi tuffarci nel caldo della ricerca di un taxi: Varanasi, la città sacra, è la fuori.
Uscendo dall’aeroporto ho visto un uomo della vigilanza che sonnecchiava come spesso succede, sulla sedia: i peli delle orecchie più lunghi che abbia mai visto e..fotografato !!
Durante la contrattazione per il taxi discuto di zone che ho solo letto su internet, di prezzi e servizi di trasporto. È durante la guerra dei prezzi che mi avvicina un ragazzo per chiedermi informazioni sulla contrattazione stessa.
Edu e Reme sono una coppia di ragazzi spagnoli, il loro albergo, gli spiego per averlo letto, è nella stessa mia zona. 650 rupie( diciamo circa 10 euro) che gli propongo di condividere.
I due sorridono ed accettano dando il via ad un soggiorno condiviso nella città sacra .
Loro hanno infatti il nostro volo di ritorno ed avendo lo stesso albergo decidiamo di provare a dimezzare spese e duplicare esperienza e la sicurezza del viaggio ( girare in 4 in posti e nazioni del genere è meglio e rassicurante ) L’idea si rivelerà azzeccata visto che i due hanno la stessa voglia di fare, andare, capire, camminare. Anche loro hanno altre esperienze di viaggio e così le difficoltà dei trasporti e della scoperta di una città così caotica sono diluite nei discorsi multilingua. I due hanno studiato italiano e parlano benissimo. Quando qualche parola si nasconde dietro accenti o verbi complicati andiamo avanti in inglese.
Spesso i discorsi sono bilingua e ci alterniamo nel parlare e nel contrattare con i pressanti tassisti e guidatori di tuk tuk (uguali ai thailandesi per insistenza, contrattazioni e mezzi di trasporto coreografici).
In hotel scopriamo che la nostra prenotazione è sbagliata e per evitare il doppio addebito della camera chiediamo di modificarla .Inutile dirvi quanto l’elasticità mentale indiana ci abbia aiutati..
Basti dire che abbiamo cercato di modificare la prenotazione dal sito della catena alberghiera dell’hotel stesso e che abbiamo ottenuto un errore dal computer che ci segnalava che il sito internet era inerente la pornografia.
Sgomento della receptionist ed inutili le spiegazioni per far loro capire che il sito…è il loro e non il mio…
Un sms in ufficio di Manu risolverà la spigolosa questione ( GRAZIE VALE).
Traffico clacson, mucche e cani randagi, rumori e fumo di rifiuti bruciati. Questo è il biglietto da visita della città sacra. Rispetto a New Delhi qui le regole stradali sono del tutto soppresse e girare in strada equivale a rischiare la vita ad ogni incrocio.
Decidiamo di andare in uno dei Ghat (scalinate che terminano sul fiume Gange) per assistere alle cerimonie serali. Seduti su una barca ancorata poco al largo del più grande e frequentato dei ghat.
Il Gange è salito a causa delle piogge e gli spazi sono minori. I sacerdoti accompagnati da musicisti e cantanti intonano inni sacri coinvolgenti. La musica scandisce i rituali e gli applausi dei devoti sottolineano i passaggi con cui viene reso omaggio alle divinità della terra, del fuoco, del fiume.
Rimaniamo in silenzio, storditi dalla musica incessante e fatta di strumenti che credo esistano solo qui: nel buio della sera che ormai ci ha sorpresi, seduti sulla barca, dimentichiamo il caldo asfissiante ed i pasti saltati.
Solo le zanzare, a tonnellate, ci richiamano all’ordine strappandoci alle attraenti procedure( fondamentale lo spray repellente sempre al seguito) : fiori e candele vengono depositati nelle acque del fiume ed i lumi sono trasportati dalla corrente disegnando traiettorie impazzite, sbattendo sulle barchette dalle quali i fedeli e qualche sparuto turista che come noi si è spinto fin qui osservano con occhi sgranati.
La sveglia, domattina, suonerà alle 4: cambieremo scalinata, assisteremo ai riti della mattina, al bagno dei fedeli, forse ad una cremazione. Una piccola crociera di anima e corpo sul fiume sacro Hindu.
È vero ci vuole forza di volontà, convinzione e molta esperienza per arrivare qui, capire, chiedere, vedere, guardare al di là della nostra cultura, osservare i riti, i corpi, i gesti e le ragioni accettandole per il contesto in cui sono espresse.
Per ora posso dirvi che a livello fisico ed emotivo la sensazione che prevale non è il disagio ne una macabra curiosità: forse sarà più facile del previsto, forse domani sarà peggiore, ma non sembra, per ora, così impossibile come alcuni hanno descritto. Per ora prevale il desiderio infinito di assistere più che di vedere: comprendere cercando di sciogliere il legame che i nostri usi impongono rispetto a concetti come la morte e la vita, concetti qui del tutto differenti.
Contiamo di essere lì per le 5 e di assistere in rispettoso silenzio al rituale.
No, non un circo ne uno spettacolo ma una esperienza fondamentale che non pare essere che il culmine della filosofia di vita indiana: è questo il programma di domani.
Massimo
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