Sognare

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Sentì il suo petto spalancarsi,protendersi, sentì il suo sterno aprirsi alla vita, come per una fame di vivere, come per poter divorare l’avvenire.
Un crocchiare di ossa improvviso, le pupille quasi inorridite, un accenno di sobbalzo in alto, dal letto, per gridare di voler vivere ancora, per abbrancare di più, per inglobare più vita.

Una fame improvvisa di aria, come risalendo da un’apnea; un respiro profondo che sembrava avere un sapore tutto suo.
Una martellata decisa, assestata sul cuneo piantato al centro del suo sterno con l’intento di farlo cedere ed aprirsi.
Solo così il medico avrebbe potuto lavorare a mano libera per salvarlo.
Quello che lui riusciva a sentire era l’effetto edulcorato, soffuso dall’anestesia iniettata in fretta e furia, un sogno sfocato mescolato alla speranza di rimanere, di vivere ancora.
Poco spazio ai pensieri e molto alle sensazioni.

Si girò nel letto e sentì quel dolore deciso al centro del petto, come immaginava sarebbe stato, qualche tempo dopo l’operazione; se fosse riuscita, si capisce.
Era solo un sogno e la sveglia lo pungolava segnando appena un’ora prima del solito orario.
Era solo in sogno.

Così si girò ancora, dolore o meno, e decise di dormire più forte, come se poi fosse possibile oppure utile.
Dormi forte.
Che significa ?, pensava, cercando il bandolo della matassa che lo guidasse nel labirinto di un sonno nuovo.
Dormi bene, come se poi uno potesse decidere come e quanto.

Pensò che lei era andata via da un’ora circa  e che il nuovo incarico in ufficio le prendeva davvero troppo tempo,  che avrebbe dovuto prendere invece tempo per lei stessa, perché davvero ne valeva la pena.
E questo lui, lo pensava davvero.
E lo pensava anche con egoismo visto che avrebbe voluto che dei suoi 100 impegni almeno 500 potessero passare in qualche modo per lui, fosse anche solo per raccontargli il “da fare”, le incertezze e le difficoltà.
Era innamorato delle sue insicurezze e le combatteva appena. Lei lo adorava per le parole che sapeva trovare, tirandola su. Lui aveva paura che lei potesse scoprire che in realtà non era bravo se non a raccontarle quello che lei aveva dentro e che non sapeva ancora vedere.
Veniva facile stare bene, che fosse amore oppure meno. Stare bene, ridere forte, vedere film, confessare insicurezze.

Sospirò profondamente, e lo sorprese l’odore della sua maglietta, svuotata dal corpo, raggomitolata al suo posto, nel letto.
Disordinata e dal carattere così forte e deciso, spesso così deciso per potersi difendere però, quindi era insicurezza.
Non la sopportava, la adorava.
Amarla non era tollerarla ma apprezzare quelle debolezze espresse a volte a mo’ di un attacco diretto, affidando a lui colpe che non aveva.
Amarla significava anche semplicemente starla ad ascoltare in un sabato pomeriggio di sole, a chiacchierare di mille cose che non vanno, per chiudere poi tutto con una risata, capace di spazzar via il resto.

Stasera l’avrebbe sorpresa ancora, pensava, l’avrebbe vista guardarlo di striscio, per non cedere al mostrare emozioni che non avrebbe poi saputo gestire, almeno a parole.
Sorrideva, immaginandola ridere, immaginandola emozionata e felice.

Certe volte, discutendo, avrebbe voluto dirle tutte le volte che era corso, tutte le scuse che aveva inventato per vederla o soltanto per poterla chiamare e provare a ridere, a tirarla su.
Avrebbe voluto dirle di tutti gli avanti ed indietro, le corse in libreria per scegliere e per scrivere un biglietto, solo per una sorpresa, solo per pensare un regalo; oppure di quelle volte che rimaneva chiuso in auto ad aspettare uscisse dal lavoro o che fosse pronta, mentre lui aveva fame da ore, mentre lui aveva messo da parte orgoglio ed amici fingendo invece d’essere con loro per non pressarla e non farle sentire il peso dell’orologio che scorre.
Certe volte sentiva la rabbia per tutte quelle rinunce che alla fine però avrebbe ripetuto ancora ed ancora, solo per vederla felice.

Si, a volte era difficile e gli sembrava di non essere affatto apprezzato. Era per quello che avrebbe voluto spiegarle e puntualizzare.

Ma sentirla ridere era il rumore che preferiva.
Quel meccanismo complicatissimo di quei suoi giorni, tutti, vissuti a velocità estrema, nervosismo e sfoghi.
Ma lei, che fino a poco prima aveva riempito quella maglietta che lui ora annusava, quella stessa lei che aveva sbirciato vestirsi, davanti allo specchio, era un altro sogno.

Era solo un sogno.
Ma stavolta, capirlo, gli fece male.

Molto più di quanto non ne avesse fatto l’operazione o la morte pensata un’ora prima.
Lei era solo un sogno ma gli mancava davvero.

Si rigirò, tanto per insistere col sonno, pensando alla moto, ad un viaggio lontano, da solo per scelta. Giocare ad allontanarsi per sentire prima o  poi la voglia di tornare.

Finì per ricordarsi dell ‘Asia,dei campi di riso, di quelle piante che aveva visto affannato dopo la salita di ore, lassù in montagna, bagnandosi fra i torrenti così lontani dalla sua scrivania.
Ore di cammino e notti all’aperto.

Fini per sognare di essere una farfalla ed il sogno fu davvero intenso.
Solo colori e percezioni, odori e piccoli passi da muovere, ali da frullare e km liberi, senza orologio.
Ora il tempo aveva senso quindi e sentiva di bastare a se stesso, di non avere bisogni se non quello di andare, vivere tanto per fare, davvero da fiore a fiore.
Una dieta fatta di aria e fiori, di colori e sole, ma senza caldo.

La sveglia insisteva.
Buzz buzz
Il vestito da scegliere, il parcheggio da trovare, le bollette, il telefono, gli amici, i rapporti di cui tutto sommato aveva paura, qualche ricordo, un bar e qualche serata con amici che non sentiva poi così vicini.

Allora sentì male alla schiena girandosi ancora ed ancora nel letto sfatto.

Si alzò, poi rimase un po’ seduto; ciondolando la testa, scuotendo i pensieri, raccogliendo le forze.

Allora stese le ali e volò via.

Massimo

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