Oltre un temporale

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Claudio guida sul G.R.A., alle sue spalle una bandiera di calcio, sul fondo della cabina del suo camion, davanti un quintale di km da percorrere ed una storia come tantissime altre, soffuse dalle luci di una sera di venerdì, Roma, ma anche Milano, così come fosse anche Brindisi oppure Pisticci, di cui poi non ricordo davvero la provincia. Storie annodate, partendo dal macro per arrivare al micro.

Sua moglie dorme già , avvolta in un letto grande, da sola, ogni notte, mentre lui invia mozziconi di messaggi da una piazzola di asfalto, su e giù per la penisola. L’amore non funziona più davvero ma nessuno dei due ha il coraggio di provare a risolvere, parlare o  capire.
Sopravvivere, ai margini di una giornata di lavoro, con una persona che ami davvero anche se il vocabolario interrogato spiegherebbe tutt’altro. Trincerati nella propria vita, senza la forza di vivere sul serio, di cavalcare una passione vera, pur non essendo tristi ne in lite, pur non avendo interesse per altre persone.
Due famiglie da cui andare a pranzo nelle domeniche di sole, quando lui è ancora stordito dai chilometri del rientro e lei accenna del fard davanti allo bagno che vorrebbe sempre cambiare.

Litigheranno per guidare fino a casa della madre di lei; poi guiderà lui, ancora una volta, dopo il discorso che ormai conoscono a memoria, dopo le giustificazioni lanciate lì, senza discutere  davvero.

Ho acceso una sigaretta guidando verso casa; un pacchetto che tengo di scorta, il pacchetto che riposa da mesi nel cruscotto,
Non ho mangiato poi tanto e così non mi sento nemmeno in colpa per via dei traditi inutili sforzi di buttar via qualche kg.

Le uscite del G.R.A. si susseguono nei riflessi delle piccole gocce spazzolate via dai tergicristalli e la strada sembra sempre di più che all’andata.

Stasera la squadra era eccitata e confusionaria.

Abbiamo fatto fatica a farli allenare.
Già nella corsa di riscaldamento si parlottava e rideva, c’erano giochi scemi e schiaffi dietro la nuca del compagno, correndo, un po’ come durante  ricreazione a scuola.

E’ uscito il calendario dei playoff,  la fase regionale del campionato che fin qui abbiamo giocato alla grande.
Non avevo mai visto tanta eccitazione per un calendario e non l’avrei immaginata nemmeno fosse stato il nuovo calendario Pirelli o quello di Sport illustrated.

Così a forza d’urla e rimbrotti s’è concluso un allenamento denso di qualcosa che poi è quello che ci manda avanti, il succo denso di quella passione che ci fa dire di no ad una uscita, che ci fa alzare dal divano nelle serate più fredde, diretti verso il campo per sudare un po’, sperando in una nuova vitoria, in altri 40 minuti: una dose giusta di vita.

Frazionata così forse, la vita, so perfino viverla davvero; a piccole dosi, solo 40 minuti.

L’odore della farina scottata, sul fondo della pizza, profuma la sala semivuota del solito locale. Il vociare confuso e le risate guardando gli altri tavoli, una birra con la scusa di reintegrare i sali minerali mentre fuori piove ancora.
Ha iniziato a piovere mentre eravamo sotto la doccia e senza dirlo ho parlato meno, per gustare il ritmo sul tetto che pare di latta.

Ho male al collo e mi sento come quando la mattina chiamavo mia madre in ospedale: un mattone pronto per essere deglutito. Non è un vero dolore quanto un grosso fastidio.
Ho freddo sul viso.
C’è odore di bruciato, ora, e per cacciarlo di mente ripenso alla pizzeria e la farina di troppo sul fondo del forno. Stavolta è diverso però e lo capisco da subito.

Ho la punta delle dita che fa male, devo aver di nuovo tagliato le unghie  cortissime e fa male, facendo forza, stringendo la mano.
Guardo le gocce di pioggia e le vedo sfocate, troppo vicine. Ho il viso, la guancia, sul vetro del lato di guida, ancora intatto.
Un camion ha cambiato corsia e non so nemmeno chi dei due abbia sbagliato.

Nel circo senza direttore di qualche istante dopo, fra frenate e rumore, ho perso la bussola, la direzione  e non so in che verso la macchina abbia il muso. So che il mio è schiacciato sul vetro che sento freddo.
Vorrei scendere,parlare, capire, magari anche scusarmi se a sbagliare fossi stato io.
La radio è ancora accesa e suona una canzone che non ho scelto, a volume basso ma ascoltabile, tranquillamente.
Aspetto e pare un’eternità, forse sono solo pochi secondi.

Nemmeno troppo dolore, anche se mi sento chiuso, se ho quel mattone da deglutire, se il rumore di poco fa mi rimarrà dentro per un sacco di tempo: ho ancora il piede destro sul pedale del freno, o meglio, ormai è fra il freno e la frizione.
Sollevo la gamba, penso di farlo, ma mi sento così chiuso dentro da lasciar stare. Forse sono riverso, su me stesso, piegato sullo stomaco.

Sono morto in un venerdì.
Col sottofondo di una canzone che non conosco e che non ho scelto. Abbastanza ironico, direi, per chi ama la musica, non credete?
Non so se sia colpa colpa mia, sua, se abbia già chiamato i soccorsi, se lui è messo peggio di me, se s’è rifugiato a svegliare la moglie al telefono, se mi abbia già visto.
Il mio telefono sarà lì sul sedile, era in carica poco fa.

Penso che mi dispiace un casino, che cercheranno dei numeri, fra le ultime chiamate, che mi sentirò a disagio quando la sveglieranno.
Nella confusione del risveglio, di soprassalto, penserà ad uno scherzo, penserà che sto chiamando per dire che faccio tardi :  “ancora un’altra birra e sono a casa… si, ok, sto attento“.

Cazzo quanto mi dispiace. E sono a disagio, pensando a quando invece capirà, penso che tutto sommato vorrei non trovassero il suo numero, penso a come ho organizzato la mia rubrica, a chi avrà l’idea di chiamare chi, a cosa dirà, se sarà il compito dei primi inutili soccorsi, se sarà la polizia o chi per loro.

Il disagio, sentirmi fuori posto, è questo che penso ora, all’ironia di un venerdì qualunque, proprio ora che c’era tutto al suo posto, dal calendario di basket alla vita serena, ora che avevo capito e risolto un sacco di cose, ora che le cose cominciavo a vederle come più semplici di quando le guardavo spaventato, mesi, anni fa.
La serenità forse era a portata di mano e mi sentivo come quando indossi  una camicia su misura: una sensazione inspiegabile, qualcosa, una situazione così aderente alla tua persona, alla forma di quello che volevi, da finire per essere inspiegabile.

No, non avrei fatto  nulla di speciale, nonostante i sogni , le ambizioni, i buoni studi, le ottime amicizie. La vita s’è spezzata così, ha interrotto qualcosa di così normale da fare rima con comune. Anche se poi ogni vita è particolare e saporito a modo suo.
Avrei voluto dire, raccontare, scrivere, oppure almeno provarci davvero. Ora penso ai film, alla musica che non ho ascoltato, ai libri che non ho letto, alle persone che non ho salutato, a quelle che non ho conosciuto, alle domande sceme ed alle risposte della gente , ai giudizi, alle conclusioni.

Non mi perdo nel pensiero profondissimo della religione, degli incontri mistici: carattere oppure praticità; penso che è solo una morte del cazzo, che avrei dovuto fare un sacco di cose e che comunque non avrei saputo cosa fare o dire se avessi saputo che questo sarebbe stato l’ultimo giorno.

La immagino nel tepore, sotto le lenzuola e mi sento in colpa. Chissà, se avessi mancato questo allenamento, magari fra un po’ sarei lì accanto.
Ormai non serve pensarci su.
Forse mi sono rassegnato e con un pizzico di sollievo comincio a pensare al giorno del mio funerale, alla mia squadra, a chi dirà qualcosa, a chi piangerà, a chi non si sentirà di venire al quella specie di festa al contrario organizzata in mio onore.

Mia madre?
Che botta..Possibile riesca a sentirmi in colpa anche oggi? In colpa e fuori posto. Beh…fuori posto forse lo sono davvero, diciamo scombinato, chissà come sono ridotto, fisicamente
Ecco, il senso dell’umorismo non muore mai, evidentemente.

Un sacco di amiche, i compagni di squadra, questa, delle squadre passate.
I colleghi, ma spero non tutti, solo quelli che ci tengono davvero. Ovviamente mia madre, quello che rimane della famiglia di mio padre.

Riusciranno ad avvertire tutti?  Narcisismo, c’è anche questo mentre ci penso su.

E poi lo confesso, che mi vestano come si deve, come avrei fatto io insomma. L’aspetto prima di tutto. Ho la barba lunga, che peccato, vedi l’ironia?
Io che ci ho sempre fatto attenzione, io con le mie manie, la rasatura, le creme, le righe rifilate..ora?
Sarò presentabile almeno spero…ho l’ansia di essere presentato, esposto, mostrato, guardato. Per la prima volta sento la vergogna del corpo.

Una gran confusione di pensieri, un tormento continuo per quel senso di colpa, per la notizia che arriverà così a sorprendere un po’ tutti.
L’ultima volta che ci ho parlato, l’ultima volta che ho parlato. L’ultima parola che ho detto, l’ultimo film che ho visto, l’ultima persona che ho visto, l’ultima immagine che ho visto, l’ultima volta che ho pianto l’ultima volte che ho mangiato, l’ultima cosa che ho mangiato,  l’ultima chiamata che ho fatto, l’ultima cosa che ho scritto, l’ultimo bacio che ho dato, l’ultima idea o l’ultimo progetto.

L’ultimo dubbio, l’ultima certezza, l’ultima volta che ho fatto l’amore, l’ultima volta che aprendo l’armadio ho speso almeno 10 minuti per capire cosa cazzo avrei messo su, senza sapere sarebbe stata poi  l’ultima volta.

L’ultima sigaretta fumata oltre il temporale di stanotte che speravo di bucare come ho bucato mille altre intemperie, della vita o no, in moto oppure in auto, camminando nelle vacanze dei viaggi che ho fatto.
Porca troia come mi manca tutto, perfino la mia posta elettronica.

Già, a chi avrò scritto l’ultima e-mail, l’ultimo sms?

A che serve poi, non so.

Non so dove devo andare, se devo dire o spiegare quello che ho fatto, come è successo, se dovrò giustificarmi, se incontrerò qualcuno, se qualcosa verrà a prendermi.

Continuo a pensare che la cosa più terribile è che ho lasciato tutti così, che sto facendo ancora una brutta sorpresa, una pessima impressione, che sto causando un problema.
Mi perdoneranno?

Paura, semplice e tagliente, piatta e costante. Vi è mai capitato di rimanere in silenzio, quando non ci sono rumori e di sentire quella specie di fischio del silenzio che si amplifica più ci fate caso?

No, ormai no so più cosa potrei fare per risolvere o migliorare.

Non si vede nessuna luce, nessun tunnel, nessuna voce ne mia nonna ne mio padre.
Ci si sente come scivolati troppo giù per potersi rialzare, purtroppo.
Fa solo un sacco freddo e ci si sente soli.
Soli come è capitato tante altre volte.

Ohi, allora che è quella faccia?!?!?

Ci verrete a trovarmi?

Massimo

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One Comment (+add yours?)

  1. Massimo
    Apr 27, 2012 @ 14:57:32

    Lettura consigliata in abbinamento all’ascolto di
    http://www.youtube.com/embed/bkxaCrA8c2Y
    Erica Mou- Oltre

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