Quando eravamo re

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Rimando.

Rimandare.

Sono giorni che rimando di scrivere questo breve pezzo. Si, il problema è che ho ripreso a rimandare tutto e che verso in uno stato di apatia. Eravamo Re.

Con la r maiuscola. Perché eravamo giovani, intelligenti e dipendenti normoPagati di una azienda di servizi  informatizzati: un gruppo di lavoro, tante idee, la voglia, al mattino, di andare al lavoro, proprio come nei film del sogno americano, delle aziende illuminate.

Eravamo re, perché ora siamo senza trono e corona e versiamo tutti in condizioni pietose. Orario di lavoro ridotto, stipendio conseguentemente ridotto, buoni pasto scomparsi anche se poi continuano a dirci che li avremo da 9 mesi: il tutto equivale a tanto scoramento e circa 200 euro in meno ogni mese.

Il risultato più interessante è lo stato di allontanamento, in senso lato, e di alienazione in cui via via ci siamo ritrovati noi tutti. Ci stupisce, sentendoci al telefono, confrontandoci, ritrovare gli identici atteggiamenti, comportamenti, malesseri e stati d’animo vissuti sottopelle nei colleghi a cui di fatto non avevamo  poi detto molto di noi.
Segno che, per forza di cose, la situazione ha appiattivo voglia di fare, personalità, situazioni.

Siamo tutti automi, annoiati, assonnati, senza più voglia ne cura nel lavoro: professionalità e caratteri abbattuti sull’altare di una crisi aziendale tutto sommato “autoimposta” visto che è figlia della crisi della pubblica amministrazione e di scelte aziendali probabilmente discutibili.
Scelte sulle quali, però, non voglio sentenziare, giudicare o pontificare. Non sta a me ne giudicare ne altro..
E non starebbe nemmeno a me subire. Eppure…
A me stà, compete, spetta,  solo il resistere, il rendermi conto ma senza il poter fare qualcosa , purtroppo . Questo è peggio.

Così abbiamo mollato, arriviamo tardi al lavoro, usciamo presto: come vuole il nuovo orario.
Abbiamo mollato e siamo tutti uguali: alti,bassi, belli, brutti, capaci lavorativamente o meno. Appiattimento totale di meriti, lavoro, desideri ed  aspettative.

Chiunque è nervoso e svogliato al punto da tralasciare e rimandare perfino le cose private.
Così il fuggire da lavoro significa andare  verso casa o semplicemente  alla fermata della metropolitana camminando come fossimo zombie troppo in carne ma ugualmente spenti.
Nessuno fa nulla: si dorme parecchio, si è tristi altrettanto.

Ci siamo affidati ai sindacati sperando, come da loro slogan, combattessero per i lavoratori. Abbiamo ottenuto la dimostrazione che siamo solo dei poveri centimetri in una inutile gara per il pisello più lungo: i sindacati mirano ad avere tot iscritti, tot in più degli altri. I sindacati  non incontrano la dirigenza se allo stesso tavolo sono presenti sindacati dell’altra corrente politica. Segno evidente che del lavoratore e della situazione gli importa poco.
I delegati incontrano la nostra dirigenza una volta al mese.: pongono domande imprecise, ricevono risposte che ci riportano integralmente.
Utile no?
Si, utile come è utile  una gomma da masticare per risolvere la fame nel mondo.
VERGOGNA CISL, CIGL ed UGL (anche se questi sarebberpo per un unico tavolo di lavoro).

Che ci rimane? Quale è la ricetta per ricominciare a vivere e sperare mentre aspettiamo che taglino il personale (e qui ne avrei da dire di opinioni) e mentre ricordiamo di quando eravamo re?

Non lo so ancora.

Ma ho letto da qualche parte che il primo segno di guarigione sta nella presa di coscienza della malattia stessa.

Scuoto la bambolina (Dharuma) recitando il piccolo mantra: 7 volte cado, 8 volte mi rialzo.

Coraggio !

 

Massimo

 

 

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