La maturazione di un viaggio: verso il Taji Mahal

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Nell’ipnosi del rumore ritmato e nel movimento del ventilatore non trovo la via del sonno.

Domattina partiremo per Agra ( la mattina del 6) diretti al maestoso Taji Mahal.
Sento che dentro qualcosa è cominciato, sento l’urgenza di scrivere e metabolizzare sento che il viaggio è maturato ed ha lasciato fermentare, come in ogni altro viaggio in grado di segnarmi, la voglia di rientrare in casa.
No, non per la ricerca di routine ma per la necessità di digerire quanto visto e vissuto. Mi accade in ogni viaggio, stavolta forse un prima del solito visto che 2 settimane sono una misura che credevo piccina per assaggiare il sub continente indiano.

L’elemento che si è cementato per ultimo è una sorta di delusione per le persone che immaginavo più spirituali e meno corrotte nei modi. Il loro essere pressanti, il loro chiedere soldi e mendicare in maniera molesta non ricalca in pieno quanto le caste, la religione, la maledetta immaginazione e la conseguente mia aspettativa mi aveva suggerito.
Moltissimi, ma è ovvio non tutti, sono amichevoli e cortesi per lavoro. Posso tollerarlo ma non posso stimolare comportamenti del genere ne fare mie queste meschinità.
Siamo rimasti delusi anche di Amrik, il nostro autista: in maniera decisa e molto maleducata si è lamentato della mancia che gli abbiamo lasciato alla fine degli 8 giorni assieme.
Gli abbiamo lasciato 600 rupie, il 20% del suo stipendio mensile ma evidentemente, sbagliando, si aspettava di più e non sa di certo che il tour era costoso fra hotel ed auto affittata: 800 euro. Se guadagna poco è sfruttato dal suo capo e non da noi. Ad ogni modo l’ho regolato con simili modi: ho notato che imponendosi e mostrandosi decisi si incute una sorta di orribile terrore che smorza ogni polemica, ogni offerta, ogni tentativo di assalto: temo sia il retaggio del colonialismo peggiore.

Avevamo avuto altre esperienze simili con uscieri, piccole guide, gente in strada, persone conosciute attraverso i racconti di persone fidate. Nessuno stupore ma l’amarezza per i modi e per la conferma che  gli indiani sono in generale parecchio differenti dall’immaginario collettivo; almeno quelli di questo quarto di India vissuta.

Ci alziamo alle 4 avvelenati dalla solita eccitazione e raggiungiamo la stazione che a quell’ora non dorme ma brulica, paradossalmente, del silenzio e del sonno appena iniziato di mendicanti, storpi e degli stracci che li avvolgono dormienti : vivono lenti, poggiati ai muri lì sotto i portici.
Mucche accovacciate fra le persone che respirano lente, fra la polvere secca della strada, ai margini di una vita più generale, una vita che scorre ignorante e selvaggia nel suo tentativo sballato di evoluzione.

Abbiamo prenotato una carrozza di prima classe visto che il prezzo è di circa 20 euro totali : i sedili sono incerati di sporco ma il servizio è più che buono con aria condizionata e servizio di pasto che tutto sommato, a parte il solito latte, è consumabile e conforta del risveglio duro.

Il treno taglia slum fatti di baracche ed una triste povertà, taglia vite sbagliate e dimenticate che non entreranno mai in statistiche ma solo in pochissimi libri. Sul binario che scorre al fianco del nostro una folta schiera di persone defeca lungo i binari. Vedo la loro schiena, il loro sedere scuro: una funzione vitale e collettiva eseguita così presto, in maniera così inconcepibilmente, per noi, organizzata, collettiva e pubblica.

Accovacciati con le ginocchia all’altezza del viso e con le braccia che ciondolano lungo le gambe, nella stessa posizione in cui vivono aspettando non so cosa, ogni giorno, lungo le strade, davanti a negozi scalcinati e chiusi, a palazzine più o meno nuove, invecchiate velocemente per l’umidità dei tropici.
Non ho ancora capito l’occupazione di molti e credo che vivere, semplicemente vivere, basti a spiegare le loro giornate fatte di quelli che per noi ad occidente sono orribili ed insostenibili stenti; stenti culminati nel mangiare scarti di cibo altrui e nel rovistare nelle immondizie generali, nelle incustodite pieghe di una città fatta di baracche, tende, stracci, canali improvvisati e lentissimi, macilenti, animali.

Ho camminato per le città, mi sono avventurato, ho chiesto e parlato, sono rimasto deluso, eccitato, speranzoso, ho avuto l’idea di nuovi viaggi: mi sono sentito una farfalla perché le farfalle sentono il gusto con i piedi: camminare offre chiarissimi l’idea e l’odore dell’India.

Ho aperto il giornale ora: al dilà delle notizie maggiori della povera, sottile carta, ho letto pagine intere di ricerca persone, annunci di cerimonie funebri di persone morte ieri, giovani, giovanissime. In India credo che il 70% della popolazione sia sotto i 25 anni…la loro aspettativa di vita è terribile come terribile è l’idea che le statistiche sono bugiarde perché vuote, che un censimento reale ed effettivo sia impraticabile: quei bimbi nudi, lucidi di sporco che vedo ogni giorno negli slum oppure ai semafori, in che numero rientrano ?
Nel giornale ci sono foto di cadaveri e richieste di riconoscerli, ci sono notizie di criminalità violenta che delude e stupisce: come si può avere il “tempo” per questo, in questa situazione ?

Non saprò so cosa raccontarvi del Taji Mahal : è nel niente, sotto il sole, di una trascurabilissima città, Agra, e sono certo che ne abbiate in testa chiarissima l’immagine vista la fama e la bellezza del monumento.
Mi curerò solo di ricordare che è pagano e che rappresenta il dolore per la morte di una delle mogli del principe (tralasciamo i nomi) o forse, vediamola diversamente, testimonia l’amore per lei.

Per il viaggio di ritorno abbiamo una prenotazione in seconda classe, il che ci aiuterà a completare l’esperienza treno che, come in ogni viaggio, penso sia lo specchio di una nazione ed un metodo per capirla piuttosto bene.
Ci sono carrozze riservate alle donne e parecchie classi di viaggio fra le quali la sleeper class: una sorta di vagone letto dove i passeggeri mangiano,dormono, defecano, urinano e riescono a scendere e salire dal treno praticamente al volo.

In molte stazioni il treno pare solo rallentare ed è infinitamente più lungo della banchina su cui, sempre, ci sono centinaia di topi.
La gente sale e scende avvolta in stracci, trasportando stracci o secchi con cibo da consumare o vendere.
La seconda classe è ben distante dalla prima, non tanto per il prezzo quanto per assenza di servizio e per essere uno stretto corridoio lungo il quale sono ricavate cabine da 4 posti: lettini trasformabili in sedili.
Le lenzuola erano bianche in origine ma ora sono marroni e striate di sporco, i cuscini sono sgonfi e rosicchiati negli angoli, i muri unti di umidità di un sistema di aria condizionata che funziona gettando una sorta di alito puzzolente ma freddo.

Riusciamo a stare vicini nonostante la prenotazione dica il contrario; lungo il corridoio vediamo piedi, ancora sederi, gente che mastica tabacco per non soffrire la fame, gente che sputa dai finestrini, alcuni che comperano cibo dai venditori improvvisati: questi vestono una uniforme blu divenuta nera e burrosa di sporco; forse sono dipendenti delle ferrovie indiane, forse l’ennesima setta nata od inventata.

Il viaggio scorre lento e rivediamo le foto come stessimo guardando dentro ad un caleidoscopio; oltre un migliaio di ricordi che ne sottintendono altrettanti se non almeno il doppio.

Il treno è in ritardo ed è, come crediamo sempre, la misura, il banco di prova, di un viaggio, di un popolo.
Il treno è anche momenti per pensare e cercare di incasellare. Qualche videogame con il cellulare per sprecare un tempo denso e lento: l’arrivo a Delhi sarà caotico fra offerte e storpi mendicanti, poliomielitici e deformi fenomeni di un baraccone fin troppo naturale per riuscire ad impietosire.

Forse ci stiamo abituando.

Senza dubbio ora abbiamo lo stesso occhio che abbiamo per la Thailandia o per la Malesia: una sorta di capacità di guardare, capire, discernere.
Un occhio clinico, in parte cinico, in grado anche di tutelare e scegliere chi aiutare, dove vedere senza guardare, non per voler rifiutare l’idea quanto per rimandare, per agire seguendo un ipotetico modo migliore.

Il viaggio va esaurendosi: ci rimane qualche ora da sparpagliare in due giorni a Delhi, fra la nuova e la vecchia città.
Poi viaggeremo nel tempo, per il gioco dei fusi orari, tornando verso Roma, naufragando verso casa, rigurgitando esperienze non del tutto digerite.

A presto

Massimo

P.s. Per ogni prenotazione in India, che sia di voli o treni è indispensabile andare su www.makemytrip.com

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