Verso Mandalay

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Mandaly, fronte Hotel Sahara
Dalla reception del nostro albergo prenotiamo una trasferimento notturno in bus, verso Mandalay. 10 ore di viaggio con il famoso JJ express bus il cui altisonante slogan è the way, the truth, the life.
La stazione dei bus è a circa 20km dal nostro hotel e con un taxi si raggiunge in circa 45’. È lì che Yangon si mostra nel suo insieme, via via, nelle sue diversità e parti del tutto differenti dalla downtown. Zone più ricche e residenziali, occidentalizzate da centri commerciali, urbanizzazione moderna: quel che manca all’altro capo della città. Una metropoli non ossessiva e tutto sommato calma, km quadrati di abitati e quartieri, etnie mescolate fra loro: Asia, fra religione e contrasti.

Al termina l del bus ci sono centinaia di compagnie dalle più lussuose a quelle con furgoni da merci passando per camion con cassone da trasporto persone a mo’ di militari.
La JJ ha addirittura una sala di attesa al piano inferiore, chiassosa ed illuminata da troppe luci a neon, ed una vip lounge che ci viene riservata in quanto in attesa del viaggio più lungo. Un caffèlatte dolcissimo di benvenuto ed un’ora di attesa.
Qui i turisti occidentali sembrano tanti ma nella realtà dei fatti sebbene i monumenti da vedere siano quelli e le tappe più o meno le stesse, non è facile incontrarsi per le strade.
Il bus è grande ed organizzato, una sorta di aereo su ruote per servizi offerti a parte il bagno. Ogni sedile, reclinabile, ha una mini tv con film, musica, giochi ed una presa di corrente. L’aria condizionata non è così forte come avevamo letto ma è più che buona, tanto da dover chiudere le nostre bocchette.
La notte scorre fra strade buie che vanno allargandosi per diventare autostrade, paesaggi silenziosi che spariscono nella notte molto buia ed una sosta in una stazione di servizio gigantesca con decine di pompe carburante, un ristorante che serve cibo cucinato in piena notte e migliaia di persone attive fra personale e visitatori; più in là c’è perfino orribile musica dal vivo a volume fortissimo. Sembra una sagra di paese più che una stazione di servizio.
La guida/hostess dall’inglese povero e cantilenante ci da giusto 10 minuti ma sono sufficienti visto che abbiamo mangiato prima al piccolo caffè dell’hotel White House, che è notte fonda e che ci è stata data acqua in bottiglia ed un box con qualche snack perfino mangiabile (da usare a colazione). Il prezzo finale è sorprendente: l’equivalente di 20 dollari americani a testa.
Sui dollari una precisazione: devono essere americani, nuovissimi e nemmeno piegati a metà, altrimenti non verranno accettati perché le banche del posto si rifiutano di cambiarli. Non vengono accettati se non dagli hotel ad un tasso di cambio tutto sommato corretto; per il resto tutti accettano la moneta locale che però è difficile da cambiare fuori da hotel ed aeroporti (kyat). La guida Lonelyplanet, su questo ed altro, sbagliava di grosso
Arriviamo a Mandalay alle 6 circa e, sorpresa, la hostess ci dice che dalla stazione dei bus in autostrada abbiamo incluso anche il transfer in hotel con un mini van molto mini sul quale la gente spinge per entrare e sul quale i nostri zaini faticano un po’ a trovare posto.
La camera non è pronta e rifiatiamo in attesa nella piccola hall con un nuovo caffè dolcissimo, connessione web, aria condizionata mortale ed i monaci che vanno girando per chiedere cibo proprio fuori dal nostro hotel (Sahara Hotel): tutti si affrettano ad uscire e dare loro riso, intanto le zanzare ci divorano.
P.s. Immagine bellissima: negli ultimi metri fra la fermata del bus e l’hotel noto che nel palazzo in costruzione proprio davanti l’hotel c’è un uomo, seduto, alle 6 di mattina, che legge il giornale come fosse dentro la sua stanza. Peccato sia seduto tipo al secondo piano di un palazzo del quale almeno per ora esiste solo lo scheletro di cemento.

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