Sociopatia

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E’ mattina già da un po’.

Mi rigiro e cerco il coraggio di alzarmi, fare. Il coraggio di terminare l’eterna lotta iniziata ieri sera con me stesso : “domani mi metto… ”
Certe volte riesco a prenderci sonno ed a svegliarmi con questo stesso discorso in testa.
Per fortuna sogno altro, ben altro.

La sveglia dice un orario, è indifferente quale dica: comunque vada penserò che aspetterò ancora e che girandomi troverò un benefico rilassamento, un’idea che possa essere l’inizio di un nuovo sogno.

La prima telefonata, è lei che aspetto.

Non punto la sveglia da un anno circa; lascio il telefono acceso: il primo che chiama mi sveglia, mi costringe a parlare, a cambiare posizione, a confrontarmi con me stesso, col mondo che sta fuori da quel nucleo perfetto di casa mia, vuota, finestre chiuse, quintali di musica da ascoltare, in lontananza qualcuno che fa lavori in casa nel sole della mattina

Marco.
Marco è spesso la mia sveglia.
Più difficile se la chiamata sveglia è una di lavoro perché a quel punto puoi fingere la voce sveglia che vuoi, ma il  cervello ha bisogno di quel minimo di tempo per capire che non è un sogno ne un incubo ma solo lavoro.

A questo punto c’è solo una cura: la radio da accendere camminando in catatonico stato. La barba…non è possibile : il rasoio a mano libera in quello stato pietoso è un arma letale…rimandare, rimandare !

Mi vesto allo specchio ma per farlo torno al punto uno, al rigirarmi nel letto cercando l’idea giusta  sul cosa mettermi.
Poi mi cambio, ci ripenso, Marco mi genera torcicollo visto che parlo al telefono e che nel frattempo mi vesto; poi è la volta di un caffè freddo, pensando che dovrei riguardare il cerchio di Itten (questa non la sapevate eh?)
Ed infatti torno davanti allo specchio per finire col raggiungere il peggiore dei  risultati fra quelli accennati.

Così esco di casa svogliato e mi godo la strada orfana dei nonni vigile fuori alle scuole.
Uscendo di casa i vicini mi salutano e sorridono forzatamente: discorsi da ascensore, fra l’altro senza averlo nel palazzo.

La fermata del metrò è un miraggio in fondo al letto del fiume di automobile dirette, a quell’ora, non so dove; cazzo, Marco ha chiamato tutti tardi oggi?

…non trovo posteggio, giro e rigiro, ma con calma, alzando il volume della radio se la canzone merita. Guardo l’orologio con gusto, scarto qualche posteggio se troppo lontano: stasera piuttosto che tornare a prenderla lassù denuncerei il furto…

Arriva allora il treno, e sono pronto col mio libro..ma è lì che la sociopatia arriva a livelli apocalittici.

Seleziono il punto preciso della banchina che corrisponderà alla porta di ingresso del secondo vagone, la seconda porta, per la precisione. Due passi, dico due e sarò al mio posto preferito. Le abitudini prima di tutto.
Ed arrivano loro:

i suonatori del metrò , i fantomatici, sedicenti artisti ambulanti con le loro fisarmoniche stonate,con le loro parole fatte di due lingue fuse : “io te prega…seneori, buonciorno”.
E suonano male, suonano troppo, suonano ad ogni vagone.
E sei costretto ad ascoltarli, perché non sono veri artisti, non si fermano lì sulla banchina , loro ti seguono, finisco di suonare e ricominciano a farlo nel vagone successivo. Li sentirai per almeno 3 vagoni e del libro da leggere non ci sarà più nulla nella tua testa.

Fisarmoniche sgonfie e stanche, scarpe lucide indossate sotto vestiti di un’eleganza balcanica di 30 anni fa.
Posso solo resistere, stringere i denti.

E quindi uscimmo a riveder le stelle“… Uscendo dalla metro passerò davanti alla libreria  Feltrinelli e mi incazzerò : ovunque libri di Fabio Volo e Moccia: perché li pubblicano, perché li pubblicizzano, perché alcuni si sentono in dovere di comperarli? Giuro a me stesso, ancora una volta, che se dovessi incontrarli li aggredirei.
No, non esagero , lo meriterebbero. Avete mai letto un loro libro ? (no, non accetto che si dica che “però ecc ecc.”)

L’ufficio, il palazzo bianco, imbocco la discesa, sono salvo, posso chiudermi ancora in una stanza, al riparo dai suonatori, dagli scrittori, dai posteggi da cercare.. Lavoro e un po’ di musica salvifica.
Ma… il badge non funziona ed il tornello non si apre: tutte le mattine !
Arrivano, a seguire, nuovi  discorsi da ascensore. Stavolta in ascensore davvero, seguiti dal consueto “buon lavoro”, che secondo me porta anche male.

Accendo il pc:  almeno 20 e-mail, in almeno la metà di queste sono in copia conoscenza; così devo leggere per poi non intervenire, non ha senso, ma devo farlo.

Allora vado in  bagno, cago e gioco a scacchi col telefono.
Finalmente solo, rifugiato.
Finché non squilla il telefono, ovviamente.

 

Massimo

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