Shanghai

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Il volo è andato via lento e calmo, fra un film ed un pasto miniaturizzato, fra un dormiveglia irrequieto e le domande curiose di mia madre sempre pietrificata davanti a chi parla inglese anche si presentasser sorridente.

Ho portato Il Milione, di Marco Polo, lo leggo affamato prima di cercare informazioni sulla guida: dall’Italia alla Mongolia, alla corte del Gran Khan per oltre 15 anni, per poi arrivare qui nell’odierna Cina, un tempo territorio più complesso, suddiviso fra dinastie originariamente cinesi e condottieri appartenenti alle varie casate mongole. Un viaggio che portò qui Polo al seguito di suo padre e suo zio, mercanti lungo la via della seta, esploratori forse più che commercianti. Viaggi di oltre 10 anni, territori pericolosi ed ignoti, deserti, lingue da comprendere. Viaggi così affascinanti oggi come allora, così tanto da seminare in Colombo l’idea di rotte differenti, di nazioni nelle quali espandersi; viaggi così sommariamente descritti da confondere Colombo stesso, morto senza capire dove fosse stato davvero, così complicati da risultare epici anche oggi rileggendo, riprogettando, sognando di arrivare qui passando per Kazakistan e Mongolia, lungo una via che sa di sabbia e di scoperta.

Shanghai ci ha accolti fin troppo docilmente nonostante le lunghe file allo sportello immigrazione dell’aeroporto: calda ma senza eccessi, confusionaria per dovere considerati i 23 milioni di residenti. I taxi per l’equivalente di 20/25€ portano in città nonostante il grande traffico: sulle tangenziali centinaia di auto si accalcano rassegnate, lente perché controllate da numerose telecamere alloggiate sui viadotti.

Palazzi tutti uguali, distese di un’ irriconoscibile cemento ci suggeriscono difficoltà di orientamento in megalopoli come queste dove nessuno parla inglese: si è costretti ad usare il telefono cellulare come traduttore considerato anche che i tassisti senza leggere l’indirizzo in lingua cinese non riuscirebbero a portarvi a destinazione.

Alveari che non so ancora riconoscere come edilizia popolare o meno, tangenziali che si snodano attorno a questi stessi, vite umane ammassate in piani e piani di grattacieli, uno stupefacente misto di tecnologie e grattacieli illuminati contrapposti a negozi tetri, piccoli templi con tetti di legno all’insù.

Per ora Shanghai è la corsa in taxi verso l’hotel a bordo di una fra le auto con più adattatori, fili elettrici, campanelli, braccialetti e lucine mai vista, un tassista silenzioso, un traffico ordinato, nessuna parola inglese, un residence favoloso con appartamenti di più stanze per un totale di 100 mq a poco meno di 100€ per notte. La città a prima vista rapisce ed incuriosisce sembrando da subito fatta di altissimi contrasti architettonici, abitativi, di standard in senso lato: dalla finestra del piano numero 24 indago la prima notte, immagino, ficco lo sguardo nelle finestre illuminate alla ricerca di un segnale di quotidianità che possa lasciarmi intendere usi e costumi.

Centinaia di condizionatori tengono il ritmo sui tetti sotto di noi mentre in equilibrio precario, dalla finestra socchiusa provo a scattare qualche foto che si rivelerà deludente.

Il tempo di una videochiamata a mia sorella, qualche messaggio all’altra sorella per via della situazione paradossale: noi arriviamo qui e lei arriva a Roma con una precisone svizzero nemmeno avessimo davvero dovuto darci il cambio. È morto il padre di mio cognato, il fatto oltre a toccare emotivamente ha costretto noi tutti a cambi di programma, spostamenti, ri organizzazioni.

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