Parigi

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Così è luglio,  il 14 per la precisione, ed arriviamo a Parigi che ci sembra proprio di prenderla, di conquistarla così come successe anni indietro, lo stesso giorno, alla presa della Bastiglia.

La sensazione è appunto quella di una quiete diffusa come dopo una gran bagarre.
In realtà in mattina c’è stata una parata di commemorazione, che abbiamo perso, e che verrà ricordata come la parata degli errori, delle gaffes tanto per rimanere su termini francofoni: due motociclisti intenti in evoluzioni si centrano in pieno mentre poco dopo la pattuglia acrobatica sbaglia i colori dipingendo nel cielo una bandiera altrui.
Lungo i viali ordinati non c’è traffico né gente che affretta il passo: forse effetto del caldo di un sabato pomeriggio di prima estate, forse effetto del rifiatare annoiati dopo la parata ed in attesa della finale dei campionati mondiali di calcio del giorno dopo.

Fatto sta che nelle piccole vie che fiancheggiano i grandi viali risalendo assolate collinette cittadine i francesi paiono vivere lenti atteggiandosi un bel po’ fra i tavolini dei caffè, maneggiando improbabili libri ostentati più che letti sotto un sole che non permette infatti una reale concentrazione. Fumano sigarette dagli scenici pacchetti e vestono di discutibili abbinamenti in barba alla fama che li vedrebbe invece cultori dell’alta moda: Dio mio che boria.
Parigi ha un aria che puoi annusare e riconoscere, un aria nel bene e nel male: boulangerie invogliano fra vapori di pane croccante e burrose brioche, vicoli pittoreschi degradano con acre l’odore d’urina, quartieri stupiscono con la loro aria trasognata; risalendo da Pigalle a Montmarte, lungo Rue Lepic, o mentre sei seduto ai tavolini del Cafe des Deux Moulins famoso per il film del Favoloso mondo di Amelie, l’aria pare  più fresca o forse più raffinata nel senso di fine, sottile.
Di raffinato nell’altro senso semantico invece gira ben poco: ristoranti e peggio ancora quasi tutti i treni della metro sono privi di aria condizionata con il risultato che la gente va in giro piuttosto sudata e vestita in maniera da sopravvivere al caldo rinunciando del tutto a logiche di colori e tipologie di abito: ciabatte calzate sotto pantaloni della tua, cappelli panama su camicia bianca tipo narcotrafficante colombiano stereotipo dei film americani, sandali e scarpe aperte con piedi rigorosamente sporchi.
Allora ho capito, i francesi che avevo incontrato viaggiando in Asia, sudati da fare schifo, con i vestiti sdruciti, i piedi neri ed i figli che giocano mangiando la terra vengono tutti da Parigi. Adesso ne sono sicuro e se avete viaggiato in Asia sapete per certo di quali soggetti sto parlando.
Quella di Parigi è una Francia che s’affanna a definirsi multietnica ed integrata e che però si scopre entusiasta, nel 2018,  a raccontare la storia dell’eroe calcistico del momento venuto fuori dalle banlieue: come ci si può dire multietnici ed integrati se ancora oggi tu stesso riconosci identità di ghetti e razze, storie di quartieri marcatamente difficili dai quali è dura emergere? Il paradosso sta tutto nel loro gusto del rimarcare l’estrazione del giovane nero eroe del calcio senza rendersi conto che la storia stessa, più che orgoglio nazionale, testimonia una verità di mancata integrazione e nessun insegnamento da dare.
Parigi è balconi, ringhiere, caffè e tempo da spendere, polverosi ma ordinatissimi e fioriti giardini attrezzati da centinaia di sedie e poltrone; poltrone sulle quali  mettersi in mostra ancora una volta leggendo oppure, orrore, prendere il sole quasi come si fosse in spiaggia: la moda, i profumi… tutto uno stereotipo. 
La città va camminata ed apprezzata ad un ritmo dimezzato rispetto al nostro ed adeguarci è proprio quello che ci serve per una serie di motivi. Il quartiere latino è un signorile dedalo di vicoli, di strade più larghe che sfociano nel grande Pantheon in cima alla collina.  Il nostro hotel è del tutto in tema fra ricordi di un’epoca andata, qualche comfort e quell’apparenza tutta da ostentare per poi inevitabilmente rivelare qualche caduta di stile. Un esempio?  Le finestre della nostra camera sono impossibili da aprire, un soffitto di travi in legno con tanto di tarme ci copre il capo ed un bagno piccolo tanto da dover fare manovra per fare pipì ci conforta nei momenti di bisogno.
Eppure dal piccolo salone di ingresso rimaniamo fermi nell’immagine che le tende lasciano intravedere: una strada in discesa, persone al caffè là di fronte, i tetti delle case. 
Il Louvre non è un vero museo quanto un complesso di musei: immenso, pieno, occupa più di un isolato e sul centro del piazzale di ingresso c’è perfino spazio per una fontana, un cortile di raccordo tra le varie sezioni. Merita di certo una visita ma non stavolta considerato che una mezza giornata sarebbe da trascorrere soltanto li dentro per poi uscirne convinti che l’esperienza è per veri amante d’arte e che la maggior parte dei visitatori non digerisce nemmeno la metà della visione totale.
Di fatto Parigi è come Berlino, in grossa parte deludente sotto il profilo del vedere ma di rilievo assoluto sotto il profilo della storia. Impopolare, lo so da me: la cattedrale di Notre Dame è piccola e ad oggi pare estrapolata da un contesto più generale, pare caduta dal cielo in una zona del tutto avulsa. Piccola in altezza e spazio gode di una fama maggiore di quanto appunto i fatti dimostrano. Un altro esempio di come i francesi sappiamo vendere i loro prodotti fantasticandoci, pubblicizzando.
Quasi le stesse sensazione me le regala l’arco di trionfo, bellissimo a magnificamente mantenuto ma del tutto circondato da città ed asfalto, in questa occasione invaso da centinaia di poliziotti in allarme per la parata pomeridiana della squadra di calcio diventata nella serata di sabato campione mondiale: paratie da mondate sulle vetrine di negozi, transenne, controlli, armi, camionette: è questa una festa di sport? Doverose contromisure post guerriglia della sera rima, appunto: vetrine distrutte, immondizia sparsa in strada, auto e moto bruciate:. Già dal primo pomeriggio con un po’ di esperienza avevamo infatti capito che sarebbe stato meglio rientrare in hotel considerate le persone ubriache, le grida, i petardi e le stazioni metro che cominciavano in parte a farsi deserte ed in parte ad essere chiuse.
La torre Eiffel: oh mio Dio, ma è piccola anche questa? Si è così ed è circondata da un parco ben tenuto ma del tutto polveroso come tutti gli altri parchi bellissimi, fioriti ed attrezzati ma con un terreno polveroso che sotto il sole fa venir voglia di desistere dal passeggiarci su. Riduttivo? In parte si, lo so da me, ma in definitiva Parigi è come certe zone della Thailandia nelle quali ti rendi conto che anni fa erano in un modo e che ad oggi sono del tutto variate pur mantenendo quei segni famosi, quei monumenti: Parigi rappresenta qualcosa da vedere e sentire, da fare, anche più volte, ma con l’accortezza di sapere a priori che nell’immaginario collettivo è qualcosa che la realtà tradisce, come appunto in quelle zone del mondo dove la natura è ricca e rigogliosa ma mortificata dalle costruzioni che la costringono. 
Parigi è promossa comunque ma ecco, Parigi è i parigini o viceversa: calma calma,  non è affatto come ce la raccontate !
P.s. Le foto… poi le aggiungo, mo ‘n c’ho tempo!

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