Blue mountains

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Le montagne blue non sono blue così come i 12 apostoli non sono in realtà 12: i veri romanzi stanno scritti nelle guide turistiche, ne sono ormai certo. Il mostro che dentro ci ha divorato nella lenta Sydney ci ha spinto a lasciarla in fretta per via di quelle riflessioni che giorni fa abbiamo fatto bevendo un caffè, rifiatando dai tanti km camminati, a riguardo di città e costruzione di queste, di “urbanistica” e vivibilità. 

Il nostro viaggio verso Katoomba è stato veloce con l’ennesima auto presa a noleggio ed intervallata da soste provviste più o meno salutari (confesso, biscotti al cioccolato e twix oltre frutta secca tostata ma non salata) e mezzi di litri di caffè da bere rischiando le papille gustative.

Katoomba è montagna vera, temperature che tornano ad essere invernali: un piccolo centro piuttosto ricettivo che con Leura forma una coppia di cittadelle dove poter alloggiare e dalle quali poter partire per i numerosi percorsi di trekking che da li si dipanano. Il piccolo centro informazioni sul punto panoramico fornisce qualche carta e qualche informazione utile ma in nessun caso mi sento di definire utile il loro servizio né la loro carta a pagamento da 6 dollari.  Di base c’è da capire che lungo la strada che collega i due centri abitati, fra le parecchie curve ben asfaltate, corrono percorsi che vanno verso punti panoramici o cascate: va detto che in alcuni casi intravedere asfalto o sentire rumori di automobili a nemmeno 10 metri da dove si cammina non è né eccitante né sicuro e fa perdere un bel po’ di quel senso di avventura e natura che il trekking generalmente regala. Qui però le cose sono organizzate in questo modo ed in alcuni passaggi, anche a causa della manutenzione dei percorsi, si esce proprio sull’asfalto per poi tornare sul percorso sterrato. Quello che non era prevista era l’uscita di strada di una auto che qualche giorno prima aveva tirato dritta una curva finendo per ribaltarsi più volte e rovinando proprio su uno dei percorsi: oggetti ancora integri, scatoe di cartone non umide tradiscono il fatto che l’evento è stato recente. Non riusciamo ad immaginare dinamica, eventuali turisti coinvolti, operazioni di recupero: perché diavolo il rottame è ancora lì?

Il pezzo forte della vallata sono le 3 sorelle, 3 rocce che la leggenda narra siano in realtà 3 principesse tramutate in montagne affinché non fossero insediate: i percorsi corrono lungo i costoni, su più livelli e si intersecano in più punti, ora diretti verso cascate, ora verso punti panoramici, ora verso vertiginose e numerose scale che tagliano la montagna abbreviando la strada. I percorsi in generale sono scarsamente segnalati e piuttosto pericolosi almeno a mio parere: parapetti bassi, scale di metallo scivolose con umidità, scarsi cartelli segnaletici ed innumerevoli bivi che guidano al dubbio.

Nulla di impossibile ma in un posto che vive di fatto di questi percorsi ci si aspetta una cura migliore di mappe, segnaletiche e parapetti, soprattutto nei punti panoramici più ambiti dove insiste, fra l’altro, un vento forte capace di spostare a tratti cose e di sbilanciare persone.

Freddo, vento ed un po di pioggia più il timore che Port Stephens poi non fosse così come speravamo circa avvistamento di delfini e balene ci hanno spinti a rimanere qui un giorno in più, a rinunciare al mare ed a dedicarci alla montana di giorno, a serate di caffè e biscotti ed a cene in quella che una volta era la vecchia banca e che oggi è un locale a metà fra pub e ristorante frequentato da gente del posto, da vecchine in libera uscita vestite stile country e da giovanotti che paiono usciti dalla penna di uno sceneggiatore che vive di stereotipi a tema campagna americana.

Anche qui la vita scorre lenta ed ospitale, il freddo si fa sentire ed i prezzi sono medio alti: questa Australia non è quella del deserto ma non è quella delle grandi città e così la gente ci va a genio e ci piace fare la spesa al supermarket, fermarci con la macchina, caricarla, organizzare provviste per il pranzo di domani lungo il percorso, chiacchierare stanchi e soddisfatti dei paesaggi conquistati. Stiamo bene, siamo sereni, camminiamo una media di 10 km al giorno, che sia in città, nel deserto oppure sui monti. Che ci manca?

Poter proseguire ancora un po’! Ma sappiamo accontentarci e so per certo che sapremo usare quanto visto ed imparato per un prossimo viaggio.

Torniamo a Sydney così come fanno gli elefanti che se ne vanno lenti a morire in certi posti: in città spenderemo 2 giorni senza troppi programmi e lasceremo che il tempo si consumi pian piano, che cementi i nostri appunti, le nostre piccole scoperte, le immagini fotografate e quelle perse ma bene impresse in mente, come le balene con i loro sbuffi, i loro salti improvvisati proprio mentre spegni la macchina fotografica e dici qualcosa tipo: “ce ne andiamo?” Lasceremo che tutto maturi ancora, che fermenti, poi, che si cementi infine.

Il viaggio si è di fatto concluso, l’impresa è riuscita, la conquista avvenuta: nel suo piccolo anche questo è un viaggio con la sua epica, con i suoi aneddoti, qualche bisticcio organizzativo, qualche pasticcio inavvertito, tante città ed ancor più km.

Sento che abbiamo portato via un bagaglio più pesante e che questo è vero anche non solo in senso metaforico visto che eravamo partiti senza tende, sacco a pelo e materassini e che ora, invece, tutto questo è inzeppato fra zaino ed un ulteriore bagaglio a mano che satura la cappelliera sotto la quale sto scrivendo ora.

Cosa manca? Mi pare nulla, gli ingredienti ci sono stati tutti e tutti sono stati amalgamati così che il sapore sia pieno e soddisfacente, così che occhi, naso e bocca siano stati sfamati a sufficienza. C’è tutto, non manca nulla, compresi quei momenti di vuoto e di “che facciamo ora?” vissuti nelle ultime ore quando sei in città ed aspetti di andare in aeroporto, quando ormai il bagaglio è in reception e tu bivacchi sulle panchine di un parco, in una caffetteria oppure al sole di un muretto aspettando non si sa mai bene cosa.

Quegli attimi di noia inconcludente, di vuoto, di dubbio sul da farsi, quei momenti in cui ti chiedi perché cazzo mai finisci sempre per non organizzare al meglio le operazioni di rientro ed i tempi relativi forse sono il gusto ulteriore del viaggio in senso lato. 

Un gusto che spero di non dimenticare mai e del quale so che non vorrò fare a meno: il ritorno a casa.

Perché è il ritorno che da senso al viaggio, ne sono ancora certo. 

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