Il grande viaggio, la grande strada. Ancora sulla great ocean road
Ago 14
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Così abbiamo alle spalle parecchi giorni di viaggio, una montagna di panni sporchi, altri lavati e piegati di fretta, così tanto da rendere lo zaino ingestibile.
Abbiamo alle spalle qualche migliaia di km guidati in auto ed una manciata di città che contrassegneremo con le bandierine sul planisfero affisso dietro alla porta di casa.
Il viaggio è arrivato alla sua maturazione: ci è capitato di parlare dell’organizzazione pratica dei giorni a venire, di lavoro. No, non c’è voglia di finire il viaggio né, nello stretto senso letterale, di tornare a casa: c’è una sensazione di pienezza, di soddisfazione abbinata all’impellente bisogno di digerire tappe e situazioni, km e spostamenti. Dentro sentiamo l’urgenza di archiviare immagini, contabilizzare spese, guardare ai mesi che verranno con una ricchezza aumentata ed una finanza mortificata.
Siamo in viaggio da quasi 30 giorni ed in lontananza vedo il nuovo lavoro che mi aspetta, la mia nuova squadra di pallacanestro da allenare. Se mi giro invece capisco appunto che il viaggio è alla sua maturazione perché percepisco un desiderio di casa e di abitudini, di rassicuranti routine familiari, perché sento chiarissima quella sensazione che fa sembrare i primi giorni qui in Australia vissuti a parecchia distanza di tempo.
Così guidando lungo la great ocean road ho rimescolato tutti gli ingredienti di questo viaggio finendo per ottenere una ricetta confusa ma un sapore eccellente. A poco più di una settimana dal ritorno a casa sento un’inquietudine che sa di rigetto per le grandi città. Scrivo sul volo diretto a Sydney della quale ho voluto leggere poco o nulla: abbagliato dalla terra rossa del territorio del nord, dai paesaggi naturali e dai parchi nazionali ho affinato l’idea che Melbourne e Sydney rappresentano attese, tempi non morti ma più lenti che ci separano da altre attività, da altro andare.
Nei circa 400 km che iniziano da Melbourne e terminano a Warrnamboll si celano paesaggi fra i più densi ed in effetti famosi dell’Australia: la strada porta infatti a Port Campbell nelle vicinanze della quale si possono scorgere da organizzate piattaforme panoramiche i 12 apostoli: formazioni rocciose sferzate da vento ed oceano che si ergono orgogliose in un mare pulito ma sempre nervoso. 12 che non sono numericamente tali e che non è chiaro se lo fossero anticamente: fatto sta che si chiamano cosi.
Tutto sommato, che sia inverno oppure meno, anche solo questa costa merita una vacanza seppur breve: noleggiando un’auto per circa 100 dollari al giorno comprensivi di assicurazione che copre ogni danno senza franchigia ed un chilometraggio illimitato, si ha la possibilità di fermarsi, strada stretta permettendo, su uno dei tratti della costa per gustare l’odore dell’oceano o per scattare foto memorabili. Piccoli centri abitati che coincidono, con ulteriori scorci panoramici o spiagge più o meno isolate, una manciata di ristoranti per una serata tranquilla e giorni brevissimi da vivere dalla mattina presto visti gli orari dei negozi impigriti per l’inverno. Lungo la great ocean road si alternato curve e paesaggi divisi fra mare e verdissime montagne a tratti anche intricate di vegetazione: canguri e sonnolenti koala abitano numerosi ma guardinghi la zona mentre centinaia di mucche colorano a pezzi le pianure dei tratti più interni dove paiono esserci sporadiche fattorie, minuscoli laghi naturali e parecchio silenzio oltre ad inspiegabili numerose fermate di scuolabus per non ben precisati bambini che abiterebbero invisibili case quassù.
I paesaggi di scogliere di roccia gialla sono un balsamo per gli occhi ormai disabituati ad un mare selvaggio e per nulla attrezzato ad attività turistiche: qui governano tutte le onde ed il vento ed è la pioggia che viene e va via di continuo a farcelo capire. Un freddo tagliente intervallato da un sole caldo ci costringono a contingentare le foto da scattare ed alla solita ginnastica con le zip delle giacche; le spiagge sono rese perfettamente lisce dalle onde e ci sarebbe da passare ore a guardare come l’acqua ha modellato le rocce nel tempo, a chiedersi come tutto quanto potesse essere anni fa, all’epoca delle prima colonizzazioni, al tempo dei tanti naufragi e dei legni infranti sugli scogli ben visibili da quassù.
Questo è un posto che sparirà: nella prima metà dei 90 è crollata una parte di roccia chiamata london bridge per via di una sorta di due campate create dalle onde: due persone rimasero quindi isolate nel mare essendo crollata la parte di collegamento alla terraferma e furono salvate dopo ore da un elicottero. Il segno è chiaro: l’impeto del mare cambia più velocemente di quanto non si possa pensare un paesaggio che a ben vedere non è solo roccia dura ma argilla, tratti di vegetazione e terra giallastra che pare spugnosa. Ci siamo chiesti chi fossero stati, quanta paura vessero avuto i malcapitati testimonid di tanta furia: curiosità appagata per caso, un giorno dopo, quando il prorietario del motel di GEelong ci ha mostrato una foto del london bridge ancora intatto, autografata da due clienti: la coppia di cui sopra!
Lungo la strada è possibile scegliere i posti dove dormire e mangiare con molta semplicità visto che esistono molti motel e molti ristoranti o pseudo tali. Fra tutte però una sosta va fatta a Warrnamboll: c’è una piattaforma che da su una spiaggia il cui tratto di mare è frequentato da molte balene. Qui in zona c’è una sorta di clinica delle balene così che sia facile vederle anche se in lontananza e che se si rinuncia alla voglia di fare una foto e ci si concentri a guardare ad occhio nudo, si possano veder salti improvvisati, spruzzi dai loro sfiati.
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