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Ti guardo per un bisogno complicato, per una gioia e la sua voglia: così osservo le tue dita che indagano lente le parole di un libro, ascolto il mormorio arrotondato della tua lettura,
mi agito seguendo la tua lingua che salta sul palato mentre parli.
Seguo attento la scia delle unghie colorate, la traiettoria dei tuoi piedi mentre senza saperlo ti muovi calpestando noncurante le linee delle fughe fra le piastrelle, quei confini che da bambino dovevo saltare e mai calpestare per via di una logica e di una paura che ancora oggi non riesco a rinnegare.
Ecco, vorrei essere come te, non accorgermi dei limiti ed andare.
Non hai bisogno di chiamarmi perché ci sono sempre: io in silenzio ti seguo con lo sguardo facendo finta di no, comparendo all’improvviso, dritto in piedi, in silenzio, fermo ad ascoltare quale motivetto avrai scelto di mormorare stavolta mentre sei indaffarata.
Allora ecco perché, perché io ti seguo: io desidero le tue forme, tutte, e le desidero mentre semplicemente ti muovi, mentre spingi, prendi, ti allunghi, mentre sistemi qualcosa, mentre infili tutto in borsa o nello zaino di lavoro lasciandomi appeso a quella fretta ragionata che non fa perfettamente geometrici i fogli da riporre ma che mi regala una leggerezza che non sapevo esistesse.
Così io ci sono, sono li a guardare, e se volessi alzeresti lo sguardo senza bisogno di chiamare il mio nome.
Così il mio nome non è necessario: ti volti, io ci sono.
L’amore quindi ha un nome non detto, è il mio.
Ecco, non serve chiamarsi per nome e forse non serve nemmeno guardarsi perché ci sentiamo così come si sente un un tepore rincasando d’inverno, al buio della casa, non appena aperta la porta. Non serve nemmeno vedersi in viso. Del resto, si dice, l’amore e cieco.
Così ci affidiamo al tatto perché il tatto è un senso sicuro, che non si inganna. O forse perché il tatto è solo il più furbo e gustoso dei sensi.
Il tatto non cerca conferme nelle voci o nelle figure, in richiami diversi da quelli del corpo.
Così di notte misuro le mie mani sulle curve tiepide del tuo seno, e ti sento rispondermi senza voce, accostandoti alla mia voglia, così ti sorprendo nel buio baciandoti il culo.
” e resi omaggio a quell’altare di donna ove la schiena scendendo cambia nome”