Siem Reap e ľarea di Hangkor
Ago 24
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Siem Reap, nord della Cambogia.
Piccoli aerei ad elica atterrano dopo un po di rumba fra le nuvole, dopo qualche saltello che ricorda la paura mista ad emozione dell’altalena da bambini.
Qui gli hotel offrono spesso trasferimenti gratis da e per l’aeroporto: piccoli tuk tuk ossia ciclomotori 100cc ai quali, tramite un perno saldato ad una struttura imperniata al telaio, è attaccato un carretto da 4 posti.
Questi sono i milioni di taxi presenti in città, attrezzati con teli di plastica in caso di pioggia.
La città come ho già scritto è piuttosto vuota e malinconica, divenuta solo un avamposto per il meraviglioso sito di Angkor.
Strade di soli turisti e locali occidentali, così tanto occidentali che la moneta locale è ufficialmente accettata ma del tutto sostituita dai dollari americani che troverete nei menu, negli scontrini, agli ingressi dei siti archeologici.
Onestamente Siem Reap è deludente.
Per una cena decente con cucina tipica khmer si spende meno di 20 dollari che sono pochi in valore assoluto ma una immensità per la media asiatica e per quelli che sono i costi della vita qui.
Fuori dal centro si diradano negozi e costruzioni e l’immagine è quella di una cittadella di provincia asiatica, polverosa, indaffarata a spostarsi ed a trasportare tutto su motorini, su strade polverose che i cambogiani cercano di rendere decenti, ogni giorno, spazzando i pochi metri di strada che competono alla loro bancarella.
L’area di Angkor è un bacino pluviale di circa 15 km quadrati disseminata di meravigliosi templi in origine induisti e successivamente divenuti buddisti.
La costruzione dei templi è avvenuta circa negli anni 1000-1100 ad opera dei diversi re che si consideravano re-Dio e che per questo ergevano templi che inizialmente si pensava fossero mausolei e che in seguito si è arrivati a considerare come votivi, dedicati ora a Shiva, ora a Vhisnu.
Migliaia di operai e tecniche sorprendenti per ľepoca: appena 40 anni per costruzioni ancora oggi in piedi, perfettamente simmetriche.
Meravigliosi e particolareggiati bassorilievi adornano i perimetri interni delle costruzioni, costruzioni concepite su più piani e livelli ai quali si giunge il più delle volte attraverso ripidissime scalinate. Il motivo dell’impervia salita sta nel fatto che i templi sono templi montagna ossia costruiti rifacendosi al monte Meru, montagna sacra per gli induisti.
All’area archeologica si accede con un biglietto che costa 20 dollari al giorno e che è possibile comprare per 1, 2 oppure 3 giorni. Il biglietto viene stampato seduta stante, completo di fotografia digitale scattata in biglietteria così che il biglietto non sia cedibile a terzi Nel caso dei 3 giorni si risparmia sul totale ma devo dire che in 2 giorni è possibile visitare, ampiamente, i maggiori siti, e non solo, partendo proprio dall’ Angkor wat, il più famoso e preso d’assalto dal turismo, il più ritratto ed il più fotografato, tanto da campeggiare al centro della bandiera nazionale. 2 giorni che se sfruttati davvero dalle 9 alle 16 possono coprire una grandissima percentuale del totale dei templi del sito.
Alcuni scelgono di andare a vedere l’alba fra i templi ma onestamente non credo valga la pena visto che siamo comunque nella stagione della pioggia, che il cielo è sempre velato ed un po scuro, che le foto sono difficili da scattare decentemente e che la folla si dirada davvero solo dopo aver visto ľAngkor wat e nelle ore più calde.
Coraggiosi turisti fanno questo tour in bicicletta ma le scarse indicazioni, temperatura, umidità e la distanza stessa suggeriscono di non avventurarsi se non ben preparati.
Immensi fossati, terrapieni, balaustre con leoni, bassorilievi con divinità impegnate a sconfiggere demoni, battaglie, pile di mattoni e volte incredibili che impennano verso il cielo rendendo la salita impegnativa e la discesa difficoltosa tanto da non poter scendere dando le spalle al tempio, tanto da dover scendere di fianco anche per una forma di rispetto a Dio al quale così, salendo, rivolgerete viso e fatica per i gradini e, scendendo, al massimo, presterete il fianco ma mai offrirete, irrispettosi, le vostre spalle.
La natura ha divorato molti dei templi così che oggi ci siano spettacolari scorci di radici di alberi ultracentenari che hanno inglobato mattoni, porte, a volte intere sezioni del tempio.
Fra un tempio e l’altro è possibile spostarsi a piedi, in bicicletta, ma posso dire che il meglio sia coprire i 6 km dalla città alľarea ed i successivi km di trasferimento nel sito con un tuk tuk ed un driver che parli un minimo di inglese: i prezzi vanno da 18 a 22 dollari per un giro di 8 ore circa. 18 per il piccolo tour che copre i più famosi templi, 22 per il più lungo, da riservare magari al secondo giorno, per scoprire templi altrettanto belli, ma più piccoli e meno famosi.
Sulla carta molti dei templi sarebbero in restauro, meticoloso, nella realtà dei fatti pare piuttosto evidente che fra qualche anno tutto sarà rovinato visto che non ci sono controlli e che la gente tocca quel che vuole, che si arrampica su quel che vuole, che rischia di farsi male e di rompere opere inestimabili.
Mediamente i turisti asiatici sono i più irrispettosi e lasciano plastica e carta straccia un po ovunque: ho sgridato appunto, a gran voce, un asiatico che finendo di bere aveva lasciato 2 bottiglie di plastica nel tempio. Ho ricevuto approvazione di altri turisti e di un paio di guide mentre l’infame tornava velocemente indietro riprendendo le bottiglie e gettandole nel cestino.
Sono comunque deluso e preoccupato del degrado, dell’incuria delle poche guardie che invece di vigilare si offrono come guide per racimolare dollari. Sono dispiaciuto dell’ignoranza dei turisti e del loro scarso rispetto per qualcosa di così immenso e bello, antico e sacro. Ai più basta fare una foto davanti all’ingresso, sedersi e crogiolarsi ignorando chi altri è in attesa di entrare e fotografare, ignorando il senso, il significato, i simboli e le leggende dietro di essi.
Un Buddha sdraiato sonnecchia da secoli, nascosto, paradossalmente, a causa della sua grandezza, facendo da base per uno dei templi: una statua di circa 70m difficile da scorgere a prima vista perché si è concentrati sulle colonne, sulle porte e sulle scalinate e perché il corpo del Buddha funge si da base ma anche da armonico supporto per la costruzione tutta, integrando le proprie alle linee della costruzione.
Angkor è un sito che va sparendo, temo, velocemente nonostante ľ impegno di alcuni paesi internazionali che colpevolmente ed incostantemente offrono fondi e restauro.
Mi parrebbe così banale impiegare gli studenti di archeologia di tutto il mondo, studenti che studierebbero lavorando e facendo una esperienza in materia senza eguali. Perché tutto questo non viene attuato, perché?
Soluzioni semplici, banali ma volte al bene comune, al lavoro di molti. I molti dollari della folla che ogni giorno visitano ľarea temo facciano un percorso diverso da quello che spero e che era previsto. Poco ed inetto personale, poche e corrotte guardie, nessun restauro veramente in corso.
C’è solo la forza della natura mescolata a costruzioni umane, alle leggende che ormai sono in pezzi come le statue delle quali narrano le imprese.
Radici centenarie strangolano i mattoni nel silenzio circostante di risaie e piccoli pascoli. Famigliole cambogiane imparano qualche parola di inglese e vendono manufatti rabberciati, piccoli gruppi di musicisti cercano offerte per vivere alla giornata: qui gli effetti delle guerre sono ancora presenti sotto forma di mina antiuomo. Ogni anno centinaia di persone muoiono o rimangono mutilate a causa delle mine delle quali sono disseminati i campi. Non è possibile fare trekking liberamente, uscire dai percorsi consigliati in moltissime aree della Cambogia.
Non si ha mai veramente la sensazione di essere vicini a campi minati ma la grandissima quantità di mutilati, anche di giovane e media età fa intendere quanto avevo già letto tempo fa rispetto al
problema dei residuati bellici.
Un temporale, assaggio del monsone più lontano e ben più forte che tortura le isole thailandesi e Gianvincenzo intento a spostarsi fra quelle, mi ha costretto dentro le rovine di un tempio.
Il cielo si è rabbuiato in pochi istanti ed una pioggia fitta e grossolana ha battuto l’area senza allentare mai la sua pressione per oltre mezzora. Il tempio non è forte e chiuso come una volta ma offre ancora angoli di riparo sincero, un senso di conforto.
Il temporale da li faceva meno paura e la sensazione non era quella di essere all’aperto, oggetto del meteo.
Impettiti, alti sulle loro zampe magre, denutrite, due polli ormai del tutto bagnati cercano riparo sotto un albero. Un bambino piange mentre la madre rassetta e copre i piccoli quadri in vendita, una donna occidentale tiene in braccio una bimba dagli occhi azzurri che accenna il labbro inferiore come fosse spaventata ed in procinto di piangere.
Cammino lento, piuttosto bagnato e mi godo il rumore dei mie passi nel fango di terra rossa, sul viale di uscita del tempio, nel silenzio degli alberi.
Guardo dritto li infondo, oltre quegli alberi il mio driver ha già allacciato i teli di plastica per proteggermi dalla pioggia.
I minuti seguenti sono aria fresca e profumo di erba, risaie che sfilano veloci, bufali che trainano aratri infangati ed il traffico che va aumentando, come in un eterno timelaspse, tornando in città.
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