Quando poi, alla stazione.
Nov 15
Loretta, Racconti abbracci alla stazione, alla stazione, banchina, binario, dreads, massimo soldini, murales, rasta, ricordi, ricordi di stazione, treni, vans No Comments
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Quando poi certi alberi magri se ne stanno intirizziti nella nebbia di prima mattina e quelle strade sono un po vuote con gli indirizzi snc che mi ricordano la via Emilia oppure certi posti dell’Olanda, allora si, mi sembra che tutto abbia un senso e che abbia un sapore più semplice ed autentico.
Ci penso in genere quando sono appena arrivato, quando i binari sono freddi, a prima sera, ed i pendolari rientrano a testa bassa un po’ stanchi. Ci penso al meglio se fa quel freddo di inizio novembre, quando l’inverno è ancora indeciso, quando scendendo dal treno sembra ci sia un’aria più pulita e sottile: un freddo più bello ed una strana soddisfazione allacciandosi la giacca fin su sotto il bavero.
La stazione è il posto degli abbracci spezzati, di quelli ritrovati, dei baci che poi non bastano mai e così ce ne vuole sempre un altro subito dopo il precedente.: “ciao amore”.
Qualche occhio lucidato, un saluto col suo dolore, anche se poi non sono saluti definitivi: la stazione condensa tutto, assorbe, nasconde e coccola ed io vivo lì, da lì in poi e mi fermo perfino a guardare quegli abbracci che non mi competono, che non sono i miei ma che vedo densi, emozionati e che quindi rimiro immaginando le loro storie.
Mi piace, lo ammetto, quando si arriva al piazzale ed allora c’è quel momento degli abbracci ritrovati, dei saluti “bentornati”, dei sorrisi più larghi e delle buste o le valigie da mettere in macchina e poi andare casa.
C’è sempre qualcuno che va via solo, triste o trasognato , qualcuno che arriva da solo e nessuno che l’accoglie.
Giorni fa ho visto un centro commerciale troppo grande che una volta costruito ha finito per risultare sempre vuoto e m’è sembrato di vederci gli sforzi di una piccola provincia che voleva chissà perché diventare più grande, che voleva poi sporcarsi senza nemmeno potersene rendere conto.
Così quel centro adesso ha il parcheggio disabitato ed un po umido ed io sono felice di quella provincia e di quella bellezza che invece ci sono ancora, intatte. Felice di quel progetto di omologazione fallito, delle tradizioni e delle storie che ascolto alla stazione o che leggo nelle mani o nelle scarpe delle persone che parlottano qui sulla banchina.
Forse, il fallimento, era quell’inutile progetto di “grande”.
Mi piace la rabbia delle scritte sui muri, l’irriverenza dei giovani che pensano d’essere già grandi, di quei ritratti brutti e sbilenchi lì sulle colonne della banchina: tipi che fumano, coperti da berretti di lana. Mi piace quel messaggio d’amore scritto a tappe, la sul muro del sottopassaggio: un messaggio che devi leggerlo via via, camminando. E mi chiedo se ora quei due siano insieme, che cos’è avesse lui da farsi perdonare.
Certe volte il binario 3 è un teatro e tutti ci esibiamo in qualche scena quotidiana, semplice e vera come una telefonata, un saluto oppure un abbraccio che poi sarà sempre troppo corto.
C’è un tipo con i dreads rasta e qualcuno con le vans alla moda, e li incontro spesso, ed in qualche modo ci si saluta, ci si capisce.
Sulla strada ho visto fabbriche malinconiche e certa edilizia popolare che ti fa prendere freddo solo a guardarla.
Mi hai spiegato che erano case degli operai d’una grossa azienda e allora mi sono perso a pensare, mentre guidavi , alle storie di quelle famiglie e poi a quella della mia, a quel tipo che avevo visto rientrare con una cassa d’acqua e chissà perché mi aveva colpito.
Mi sono perso immaginando di poter scrivere dei pomeriggi lì sotto a quel cortile, simile al mio di quando ero bambino.
Poi ho visto la confusione dei murales scoloriti dal sole, arrivando qui a Roma, e mi sono sballato per le esalazioni dello smog, sballato come quella notte che avevi su la canottiera e che nel sapore di quel vino ci sentivo un sapore di te e me, di casa tua.
Ho pensato a quando poi, alla stazione, io arrivo e tu mi fai cenno con la mano ed io ti vedo con la coda dell’occhio. Allora tutto sembra a posto, riassunto, storicamente perfetto.
E mi agitava adesso, quel pensiero di te, ancora.
“E tu avevi i vestiti adatti per le tue guerre stellari”.
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