Giganti
Mag 19
Lettere a Sophie, Loretta alberi, giganti, lettere a S., ludovico einaudi, massimo soldini, viaggio lontano No Comments
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Piccola grande S., anche oggi ti scrivo da qui.
Uso pagine un po’ ingiallite, ma mi piace farlo con queste: senza internet questo gusto “vecchia maniera” condisce un po il senso di vuoto che sento allo stomaco per non poter ricevere le tue risposte, per sapere che queste piccole pagine arriveranno come fossero state spedite decenni fa: fra qualche settimana almeno.
Allora il clima sarà già cambiato, o almeno questo mi dicevano oggi le donne grasse con le quali ho mangiato.
Le mie pagine saranno in mano al pescatore che uscirà martedì per la posta e per il pesce: sorrido, perché sarà un successo se arriveranno, non mi importa nemmeno più il quando.
Ti scrivo dal fondo di questa giornata, da dentro questa notte, compatta e primordiale: soffitto incrollabile, perfetto.
Credo vi sarebbe piaciuta, ma forse lo credo per come immagino tu sia, per bocca di lei.
Oggi ho conosciuto meglio gli uomini del villaggio. Sono dei Giganti. Non sono alti ne forti, ma spero mi capirai: sono Giganti.
Non hanno nulla: sono Giganti che non sanno far altro che lavorare, costruire, andare e tornare.
Credo abbiano l’anima bianca: non corrotti da abitudini o schemi sociali così radicati ne da vizi, tanto meno da cultura fantasiosa che noi altri definiremmo “alta”: forse, paradossalmente, questa finirebbe per macchiarli facendoli cominciare a sognare, a sognare un altrove.
Li ho guardati lavorare tutto il giorno, li ho guardati senza riuscire a capire quale fosse il loro obiettivo, il disegno inseguito, il loro motivo.
Li ho guardati lavorare, sudando, al margine della spiaggia, sciacquarsi la pelle, arrossata dai pesi, con l’acqua salata. Li ho visti prendere in braccio i loro bambini: senza sorridere hanno saputo comprenderli e dare qualcosa che credo di non aver mai avuto dentro, qualcosa che non so ancora spiegarti e che forse avrei voluto e dovuto costruire quando tutto sembrava perfetto.
Rimarrò qui ancora un po anche se non c’è nulla da vedere. Spendo le giornate spiando la vita semplice ed invidiabile dei Giganti, sognando di tornare ed avere il coraggio di ricominciare a lavorare, ma non so dove, non so facendo cosa.
Anche mio padre era un Gigante. L’albero più grosso qui alle piccole case ha la corteccia rugosa come il viso arrabbiato di mio padre. Ma forse era solo deluso quando aveva quel viso. E così lo fuggo un po’ con lo sguardo, come dovessi vergognarmi, ma poi mi fermo a dormirci sotto, riparato dall’ombra del pomeriggio.
Chissà se ridi, ora, o se leggendo riesci ad immaginare quello che ti descrivo.
Forse prima di partire riuscirò ad abbracciarlo e lo farò proprio perché mi fa pensare a mio padre. Ho lasciato che andasse via senza mai averlo abbracciato.
Oggi ti dedico tutti i fiori che non ho colto perché non rovinassero, il freddo di stamattina, nel mio letto, quando non riuscivo più a dormire. Ti dedico l’odore di stanotte, il sapore de sale che sento in bocca se mi umetto le labbra.
Sta con lei, promettilo a te.
Massimo
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