Appetito di km
Ott 11
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Era il 1937 e Moravia, Alberto Moravia, diretto in Cina, fece sosta in India.
Il racconto di quei giorni finì su un reportage di viaggio (Gazzetta del Popolo del 28/02/1937) . Moravia fu colpito dall’odore dell’India tanto che fu quello il primo tema, l’attacco del suo scritto: “Stupore della prima folata d’aria molle e fetida…”
E’ curioso come lo stesso odore sarà, anni dopo, la componente predominante dello stupore di Pasolini quando, nel 1961 andò in India con Moravia.
Da quel viaggio, al quale si unì Elsa Morante, al tempo moglie di Moravia , nacquero 3 libri, si dice, anche se solo 2 sono quelli pubblicati e conosciuti.
Un’idea dell’India e L’odore dell’India.
Il primo di Moravia, il secondo, curiosamente proprio per quanto detto sopra, di Pasolini.
Il terzo, quella della terza importante firma in viaggio, rimane ad oggi una leggenda; una leggenda come l’India stessa è sempre stata : Colombo cercando di raggiungerla, inconsapevolmente, scoprì il nuovo mondo, l’America, approdando sulle isole dell’attuale stato di Bahamas: dubitò di averla raggiunta solo alla fine del suo terzo viaggio e nemmeno il quarto gli chiarì del tutto le idee confinando l’India, la sua India, in un irraggiungibile altroquando.
Un posto oltremare che s’allontana con l’orizzonte stesso, un posto impossibile per lui, incapace di capire e doppiare il Capo di Buona Speranza: operazione riuscita invece nel 1498 a Vasco da Gama, arrivato nell’attuale stato indiano del Kerala (più precisamente a Calicut)
L’india di Marco Polo, prima ancora, folgorato dall’Asia e dalle sue ricchezze, lungo la via della seta, dall’India e dalla sue pietre preziose. Ma l’India è anche Salgari e le ambientazioni delle sue Avventure in India.
Cosa doveva essere l’India al tempo del viaggio di Moravia e Pasolini ? E cosa, soprattutto, nel ’37, con Moravia più giovane e meno esperto ?
Quanto fosse primordiale, selvaggia, mistica e differente da oggi resta un mistero intricato ed insoluto come suppongo nessuno scritto possa descrivere. Forse il difetto dell’India è proprio quello di non poter essere raccontata.
Mi chiedo ancora se gli Inglesi abbandonarono l’India ragionevolmente o se la vera sola ragione fu la lotta per l’indipendenza (1947) portata avanti dal Mahatma Gandhi. Era un paese sfruttato abbastanza, per quel tempo, per quelle condizioni e visti quindi i moti indipendentisti conveniva abbandonarlo? Quanto sia rimasto del colonialismo inglese lo so da me ed in parte la mia impressione inesperta e grossolana è riportata qui sul blog. (LEGGI QUI)
Adesso l’India è per me l’idea che matura e che diventa, da odore, sensazione viva, vera e propria: ricordi sotto forma di fotografie e sapori, esperienze dirette e nuovi progetti. Adesso è un viaggio maturato ma non ancora archiviato.
Adesso l’India è un’ossessione, un desiderio così forte da sembrare veleno, malessere. E’ un’idea costante finché il sonno non mi raggiunge mettendo in pausa strampalate idee: certe notti rimango sveglio a progettare rotte e tragitti finché con la scusa di andare al bagno non spendo almeno 5 minuti davanti al planisfero sul muro del piccolo ingresso di casa mia.
Un ingresso da cui sognare di uscire.
Che battuta del cazzo, è effetto del delirio di viaggio, ne sono sicuro.
L’India è una conversazione skype con Gianvincenzo, un’idea folle, un viaggio assurdo da avere i tratti dell’irrinunciabile: ad ogni confronto un nuovo modo di attraversarla; ora col treno, ora solo bus, ora andando in aereo ma tornando solo con treno.
Saremmo dovuti andare laggiù insieme: potremo farlo, è certo, ma non avremo la stessa India, la prima India, quella del primo sguardo, quella che ti fa sbarrare gli occhi o , ovviamente con più mestiere, come diceva Moravia, quella che “L’India è il Paese delle cose incredibili che si guardano tre volte stropicciandosi gli occhi e credendo di avere avuto le traveggole”.
Così mentre Roma è investita da una perturbazione calda umida che pare la brutta copia di un monsone rimiro i due libri, leggo e rileggo alcuni passi cercando il coraggio di andare, sapendo di non potere.
Leggo e ripeto le frasi che avrei voluto scrivere se avessi saputo farlo. Parole saporite: blatero come un ubriaco molesto, cambio spesso discorso convinto che nessuno possa capire la mia lingua, quello che ho visto e che non sono riuscito a fotografare.
Così questo pezzo è dedicato a chi mi ha letto anche durante questo viaggio, a chi ha subito (Leonardo Archini e Fred, Ferdinando, Agostino) la foga di raccontare interrotta solo da avidi sorsi di birra e da un gesticolare tipico di chi sente che le parole non bastano.
Questo pezzo è per chi voleva andare ma non ha avuto modo o coraggio, per chi pensa che sia impossibile o difficile, per Gianvincenzo e quel rammarico di non aver viaggiato insieme.
Questo fiume di parole emozionate è per chi mi ha chiesto, al ritorno, ma anche durante il viaggio, di vedere foto, è per le loro facce incuriosite che immagino al di là del monitor o per chi capita qui cercando di capire qualcosa del “sub-continente Indiano”.
Queste parole sono per chi viaggia con me, ma non ogni anno: ogni giorno; sono per chi lo fa nel viaggio che forse è il più importante: la vita, immenso viaggio per soli veri viaggiatori: nessun biglietto di ritorno.
Massimo
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