Autofocus

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marion cotillard

Corti spiacevoli ed inopportuni baci. Saperle dare solo quelli e riconoscere sempre un particolare delle increspature delle sue labbra sul quale ficcare lo sguardo, così fisso da ritrovarmi ad occhi bassi davanti a lei.

Lei sentiva spesso la sensazione che sa lasciare l’immagine di un  bar quando è vuoto,  quel fermo immagine di sgabelli riversi sul bancone come fossero troppo ubriachi.

Sfocato, più distante, un dinoccolato e vecchiotto barista che barcolla spazzando il pavimento: ballando un ‘improbabile valzer con le sue scarpe troppo piene di piedi per via dell’orario di chiusura.

C’è un’immagine di Loretta che guardo spesso. Un primissimo piano che sembra averle catturato l’anima; così perfettamente riassunta in un’espressione che seppure non parla sa dire  tutto a chi la conosce. Quell’anima è riassunta in uno scatto casuale, uscendo dal ristorante. La guardo negli occhi e la rivedo perfetta ed animata nelle due dimensioni del ritratto che tengo in mano. Sfocature che da un secondo al successivo ho paura prendano vita e che riescano a farmi ancora abbassare lo sguardo puntando la vista sulle fessure delle sue labbra.

Ha gli occhi che sembrano tristi e che pure non riesco a non guardare. Ha occhi che non sanno dirmi quello che  pensano ne descrivermi lo stato d’amino d’inquietudine che penso di d’aver percepito: è la mia l’inquietudine, invece, guardandola negli occhi.
Guardo il coraggio di quegli occhi, la sicurezza di quel colore denso.

Quegli occhi mi ingrandiscono come fossero grosse e potenti lenti: un misto d’ansia per non sapere come e cosa comprendere, contenere, come classificare il nostro rapporto. Eppure non mi sento indagato ne a disagio se non per quelle labbra, quelle fessure sulle quali combaciare le mie.

Una faccia con qualche ruga d’una espressione che conosco e che se chiudo gli occhi so ritrovare, animata e viva così come in quella foto che mi ossessione.
Un’ espressione di quei giorni in cui mi sembra tutto così lontano ed in cui pare di aver messo a fuoco solo una parte di quella foto che più perfetta non sarebbe stata se fossi davvero riuscito a catturare l’istante, il momento, se fossi riuscito, finalmente, a non sentirmi incompleto.

Quella foto mi innamora.

Quella foto mi fa venire voglia fare l’amore in silenzio, in silenzio come da ragazzi, come se al piano di sotto ci fossero genitori preoccupati ma rassicurati dal non sentire ne rumori ne gemiti.

Non abbiamo ancora le istruzioni per abbracciarci, continuiamo a guardarci solo da lontano, e quindi sfocati, oppure attraverso ritratti migliori del primo piano che sappiamo ottenere trovandoci faccia a faccia.

marion cotillard portrait

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