Sguardi
Mag 27
Loretta loretta, massimo soldini, sguardi No Comments
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Si ricordò del sapore di quei baci affamati.
Del suo essere così istintiva, oggi si, domani no. Si rimproverò di ricordarsi sempre poco che lei era così: dare e togliere. Oggi meravigliosa creatura, telefonate e baci, domani del tutto scomparsa, insulti ed instabilità, mesi di silenzio.
Si perse, ricordando di un passato presente. Si stupì, subito dopo, perché ogni volta s’accorse di giustificarla, di dirsi che l’aveva capita poco, che avrebbe potuto dire e fare, ancora baciare.
Si consolò dicendosi che “è la vita”. La sua.
L’amò ancora, dolcemente, con una semplicità estrema. Ma solo per un’ora. Un’ora durante la quale si era ripetuto che ogni volta aveva creduto fosse diverso: ogni volta s’era detto che era cambiata, che era tornata e che da lì si sarebbero visti e sentiti.
Guardò una sua foto, si disse che era forte, a volte, tante, perfino più forte di lui. Loretta. Sapeva essere ora una dea, domani scostante ed odiosa. Favolose instabilità alle quali lui non sapeva condannarsi ne rassegnarsi: continuava solo a vederla come un quesito irrisolto e niente di più: ormai nemmeno una voglia. Anni dietro; davanti forse nessuno: la stessa storia da sempre.
Era convinto che avrebbero potuto avere notti intere, oppure niente. Domani, oppure mai. Un contatto, un lampo: a volte favoloso,a volte un incubo di pentimenti e discussioni.
Ormai non valeva più la pena di chiedersi i motivi che sapeva non avrebbe trovato. Loretta era una disciplina che non non solo non conosceva, ma che non aveva saputo ne voluto studiare.
Sorrise di se, più che altro, e ripensò a quella foto di lei: uno sguardo fra assenza e nervosismo che in realtà nascondeva quell’inquietudine estrema che lui non aveva saputo curare e che non aveva saputo descrivere dopo anni di malinconie supposte o reali.
A lei piaceva pensare d’avere in mano il gioco, la mossa. Piaceva credere d’averlo vinto, d’averlo trattato male e di sapere sarebbe tornato anche se poi, partendo dal non sapere se e quando, cominciava a dubitare di’aver condotto e vinto il gioco, la partita.
Lui l’avrebbe insultata, avrebbe ceduto alla rabbia e le avrebbe urlato in faccia la frustrazione di questi immotivati comportamenti, le avrebbe dato della pazza e le avrebbe ricordato quel giorno, quella sera, quell’altra, quei giorni, quella chiamata…tutto, per dimostrarle l’antitesi con la nuova e le vecchie inspiegabili liti, affannati tentativi di dimostrargli di non volerlo più vedere ne sentire.
Confusione. Inutile confusione.
Tornò al lavoro riguardando quella foto, lo sguardo, e pensando che per vendetta non sarebbe più tornato.
Forse.
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