Chi è l’ultimo ?

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Il rumore della macchina del pane sporca il silenzio della piccola cucina di casa mia.

L’impasto ancora morbido si contorce e lo guardo dall’oblò della piccola macchina. Penso già all’odore che avrà quando sarà cotto. Sto ancora bene, sono ancora all’inizio di quello che scoprirò una fortissima influenza capace di ricordarmi i giorni a casa, da scuola, tanti anni fa; il potere di ricordarmi il mio rarissimo  mal di testa , le giornate spese al letto con i programmi tv che ciclicamente invadono i palinsesti.

Sto bene ma sono a casa, febbre ma solo un po. Un bellissimo momento di trascurabile felicità mi acceca : la punta lucidata delle mie scarpe dopo l’operazione di spazzolatura, la scelta della crema più giusta. Fare cose, mettere in ordine, mi fa sentire organizzato e mi fa sentire di non aver sprecato tempo oggi.

Sotto casa passa un arrotino ma è diverso da quello storico e così l’orgasmico disco che ogni arrotino ha è recitato male, in una lingua mista rumeno italiano.
Odio che abbiano distrutto il mito del disco dell’arrotino e mi rimetto a pensare a quelle mitiche parole: perché ogni arrotino della penisola ha quel disco? dove si compra il kit per diventare arrotini? consegnano anche il disco relativo?
La strada è un teatro silenzioso e perfetto: da dietro le piccole serrande mi gusto l’incedere lento e sgangherato del piccolo furgone. Godo nel vedere che nessuno lo chiama, che nessuno chiede di affilare coltelli: devi fallire, impostore arrotino !

Devo andare dal medico, ovviamente troverò fila , una lunghissima coda fatta di annoiatissimi anziani che ogni giorno come fossero figuranti vanno lì a fare la fila.

Per definizione, c’è la fila, ma devo andarci per il certificato.
Quindi riassumendo: non sono uscito per andare al lavoro perché stavo male e mi ritrovo a dover uscire per mettermi in coda in un ambiente chiuso, come un ufficio..stancandoti ed innervosendoti, perché sono dolente, febbricitante e perché gli anziani gridano per ogni comunicazione che si risolve poi con la stampa di una ricetta medica: sempre la stessa da mesi, anni.
Ma loro sono lì ed io sono in coda, dietro di loro.
E mi guarderanno cattivi, perché sono giovane, come è possibile “tu” stia male, che non possa aspettare ?

Così avrò finalmente il numero del certificato e dovrò scrivere una email all’ufficio del personale nonostante il medico abbia appena mandato il certificato allo stesso ufficio del personale…Si, è contorto, ma è reale e devo farlo !

Mi aspetta un pomeriggio di fuoco: andare in fila in farmacia; una nuova fila, fatta di persone che comperano le più disparate inutilità per sentirsi rassicurate di stare bene.
E dovrò prendere il numeretto, perché c’è fila, ci sono tante persone; dovrò stare dietro la linea gialla, per discrezione, come se poi potesse importarmi se la persona davanti compera supposte oppure preservativi: io voglio un cazzo di scriroppo, del paracetamolo: il lascia passare per un sonno riposante, perchè, ricordiamocelo, sto male…e volevi stare un po a casa.

La mente frigge, la febbre si alza e mi lascia a tremare nel letto, a ricordarmi le cose da rimandare, la voglia che ho, cosa potrei fare . Ma ora, quel “cosa potrei fare” è così bello da essere un’idea perfetta, un qualcosa di astratto  da rimirare nel delirio della febbre mentre me ne sto rannicchiato nel letto, troppo pigro perfino per coprirmi. Tanto mi basta: friggere le idee come fosse soddisfacente fare solo quello, come se un idea non fosse altro che un qualcosa da pensare, idealizzare ma mai realizzare correndo il rischio di tradire l’aspettativa. Qualcosa da pensare solo per essere  rimandato: perfetto.

I dolori articolari paralizzano la voglia di muovermi anche perché ogni movimento scuoterebbe la perfezione di cui sopra e le idee diverrebbero azioni perdendo il loro alone di utopica perfezione.

Una doccia calda con la radio bassa, così a in sottofondo da non poter distinguere le parole. Lo scroscio d’acqua dalla cannella a lenire la frittura di idee , il bollito di pensieri.

Suonano i ragazzi dei volantini, insistentemente. Mi pare lo facciano a turni, decine di volte ma forse è l’impressione, anzi l’idea, bollita.

Volevo solo riposare.

 

 

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