Andrea

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Ieri sera abbiamo vinto.

60 – 79

Ho rivisto il campo così come mi piace, quando le grida sono esaurite, quando è vuoto, le luci si stanno per spegnere e tu sei lì che ti rigiochi la partita, ripensi alle sostituzioni, i time-out, agli scarabocchi sulla lavagnetta.
Ho rivisto il campo mentre tutti sono ancora sotto la doccia, al centro del campo, riavvolgi il nastro ed il campo ha un odore che non ha in nessun altro caso, un odore che poi è simile a quello che ha quando ci arrivi presto e la luce è ancora spenta, quando i canestri dormono, le gradinate riposano, i palloni sono là nella cesta, rintanati.

23.00 Cena da Mc Donald’s, come avessimo 15 anni.
Andrea è venuto con suo padre.

Io no.

Ci parlo, rido col gruppo, ordino e rubo le patatine dal mio stesso vassoio mentre la cassiera cerca svogliatamente il mio resto nella cassa.
Rubo le mie patatine e svago lo sguardo come fosse un vero furto.

Penso che avrei voluto anche io, avrei voluto mio padre, lì dietro. Penso a mio padre che “sbraita” per mangiare, perché è tardi,  perché ho giocato a cazzo di cane.

Mi giro, penso, e lo vedo lì seduto in mezzo agli altri, col suo vassoio.

Ma mio padre non c’è.  Chiudo gli occhi e trattengo le lacrime che già s’affacciano infami, stringo gli occhi, la gente in fila non capirà.

Mio padre non sarebbe mai venuto da Mc, la squadra non è quella di allora, io sono invecchiato, adesso quasi non gioco più e mi diverto a pasticciare sulla lavagnetta da buon assistente del coach; c’è solo Marco  che con me ha vissuto quegli anni.
Il tempo, io, il basket stesso, Marco, e naturalmente mio Padre: in qualche modo nessuno c’è più.

Mi giro, penso che mio padre potrebbe essere  almeno in macchina, pronto a pressarmi per tornare a casa, ed io sarò fintamente sereno ed allo stesso tempo triste, triste perché non cenerò con i compagni di squadra. Sarò falso e infelice pur comprendendo “il tutto” che c’è dietro quel no, alla fretta.

Sarò grande, già grande mentre lui mi riporta a casa: la cena è già pronta, la mamma indaffarata.

Tornato a casa svuoto la borsa. Lo faccio nel pensiero parallelo, nella storia che è uno spin-off di quella reale, e nelle ore che seguiranno, nella storia di oggi, della notte che sto vivendo.

Sono ancora in cassa, mi giro. Gli altri sono seduti, mi fanno cenno come se potessi non aver visto un gruppo rumoroso di gente sopra 1,80 m.

Andrea è seduto accanto al padre ed io no so se sono più simile ad uno o l’altro, se sia più vicino ad una o l’altra condizione.

Arrivo da loro, mi siedo, invento una storia mai successa, la dipingo reale, accaduta un attimo prima là in cassa.

Marco è accanto a me e mi sento come se fossi stanco, appannato ma felice.
Mi sento a casa e lui è una specie di boa per tenermi a galla, un concetto di familiarità, una catena per ancorarsi ai ricordi di quegli anni.

Ridono di gusto per la storia scema.

E’ il mio clown, il trucco che “indosso”, opinioni di un clown

Guido lento, con la musica bassa. Ammezzo un sigaro toscano per l’occasione, festeggio un ricordo tutto sommato bello anche se non sembra.

Accelerare mentre mi attacca la voglia di un sms così lungo da non riuscire a contenere davvero il pensiero.

Non lo invierò infatti.

 

Massimo

 

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